La Porta di Jaffa
Gli ebrei che resistettero all’Olocausto
In queste ore Israele celebra la sua Giornata della memoria che cade ogni anno il 27 del mese di Nisan, pochi giorni dopo la Pasqua ebraica. La data ricorda la rivolta del ghetto di Varsavia, il più famoso tra gli episodi di resistenza messi in atto durante la persecuzione nazista. Quella simboleggiata dalla rivolta nel ghetto di Varsavia fu, però, davvero l'unica forma di resistenza ebraica al nazismo? È la domanda che si pone l'articolo che proponiamo oggi, pubblicato in questi giorni sul Jerusalem Post. Matthew Wagner ricostruisce la questione dell'opposizione alla Shoà attraverso la prospettiva degli haredi, i religiosi ultraortodossi.
Scambi impossibili
Negli ultimi giorni è tornata in prima pagina sui quotidiani della regione mediorientale la questione delle trattative sulla liberazione di Gilad Shalit, il caporale dell'esercito israeliano rapito a Gaza il 25 giugno scorso e tuttora nelle mani di Hamas. Il governo palestinese ha fatto avere a quello israeliano una lista di un migliaio di prigionieri palestinesi attualmente nelle carceri israeliane al fine di procedere a uno scambio. Ma sembra essere un vicolo cieco e allora varie voci sulla stampa, anche palestinese, invitano il governo Haniyeh a spiazzare gli israeliani con un rilascio unilaterale.
Hebron, pietra d’inciampo
Nella città di Hebron è in corso un nuovo capitolo di quella politica del «fatto compiuto» che ha accompagnato per quarant'anni la crescita degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Da un paio di settimane, infatti, una ventina di famiglie di coloni abita in un edificio di quattro piani nel mezzo di una zona interamente araba e hanno intenzione di ristrutturarlo per poter ospitare altre venti famiglie. Il ministro israeliano della Difesa ha promesso che li farà sgombrare, ma non c'è da giurarci. In Israele se ne discute e noi vi riferiamo due opposti pareri riportati sulla stampa.
L’Egitto guarda a est, molto più a est
Il protagonismo diplomatico dell'Arabia Saudita segna il declino del ruolo svolto per anni dall'Egitto nello scacchiere del Medio Oriente? La domanda è rimbalzata al Cairo dal recente vertice della Lega Araba di Riad. Un interrogativo che, sulle colonne del settimanale egiziano Al-Ahram, affronta anche lo storico Anouar Abdel-Malek, uno dei maggiori studiosi dell'era Nasser. Un articolo che offre una prospettiva interessante per guardare a un altro scenario che, sotto traccia ma in maniera non meno significativamente, va muovendosi nella regione.
Il guardiano del valico
Un generale italiano comanda gli osservatori dell'Unione Europea dislocati al valico di Rafah tra Egitto e Striscia di Gaza. È Pietro Pistolese (66 anni), ufficiale dei Carabinieri di origini emiliane. Il quotidiano Jerusalem Post lo ha intervistato nei giorni scorsi per chiedergli come valuti la situazione odierna dell'unico posto di frontiera tra Egitto e Territori palestinesi. Ecco cosa ne dice il generale.
Il rilancio del piano di pace arabo
Il vertice della Lega Araba in corso a Riyadh ha rilanciato ieri il Piano di pace arabo del 2002 per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Un Piano che mette sul tavolo la disponibilità da parte dei 22 Paesi arabi a riconoscere Israele in cambio della nascita di uno Stato palestinese entro i confini del 1967. Ci si chiede se possa finalmente essere la strada giusta. Vi riferiamo il punto di vista dell'analista israeliano Yossi Alpher su bitterlemons.org, voce piccola, ma molto letta nei circoli della diplomazia internazionale.
Rimpianto di una città-giardino
Il prossimo anno Tel Aviv compie 100 anni. Ma che tipo di città sta diventando? È la domanda che si è posto in questi giorni sul quotidiano Haaretz l'architetto e urbanista Israel Goodovitch, il quale proprio non ama i grandi grattacieli in costruzione nella più moderna città israeliana. Goodovitch ricorda ai suoi connazionali come negli anni Trenta Tel Aviv fosse stata pensata come una «città giardino».
Perché la Striscia di Gaza non diventi un altro Libano
In un articolo sul Jerusalem Post il giornalista Tommy Lapid, già ministro nel penultimo governo Sharon, esamina (e rifiuta) l'idea che circola tra le destre israeliane: riprendere il controllo militare della Striscia di Gaza e avviare una meticolosa ricerca degli armamenti che Hamas sta ammassando, per evitare che il movimento islamista raggiunga la capacità operativa degli hezbollah libanesi. L'invasione, scrive Lapid, non darebbe frutti. Meglio tenere duro con l'embargo al governo palestinese per indurlo a più miti consigli. Senza escludere estremi rimedi.
Il Medio Oriente è a una svolta?
Arabia Saudita e Iran dialogano e questa è una buona notizia per chi teme una guerra che sembrerebbe imminente. Si apre un nuovo capitolo per il Medio Oriente? Se lo chiede un giornalista di Gulf News, il quotidiano degli Emirati Arabi Uniti, a pochi giorni dal vertice della Lega Araba che si terrà a Ryad verso fine marzo. All'ordine del giorno l'iniziativa di pace dell'Arabia Saudita che propone tra l'altro il riconoscimento di Israele da parte degli Stati arabi in cambio di un ritiro dai Territori occupati.
Quattro regole di civiltà
I più accorti navigatori di Internet conoscono l'esistenza della netiquette, un semplice galateo a cui ispirare le proprie interazioni con l'universo virtuale, così da mantenere degno il livello di comunicazione tra persone.
Qualcuno, come Bradley Burston nel blog che pubblica sul sito del quotidiano israeliano Haaretz, propone poche e chiare regole anche ai lettori che vogliono intervenire nel suo forum. E molti contributi restano sulla porta.
Israele visto da Manhattan
Non tutti gli ebrei del mondo sostengono Israele allo stesso modo. Anche all'interno della grande comunità ebraica statunitense ci sono approcci diversi. Ne parla Samuel Freedman nella sua rubrica sul quotidiano The Jerusalem Post.
La via stretta dei profughi
Non c'è tema che in Medio Oriente divida di più della questione dei profughi palestinesi. Da parte israeliana ogni accenno a questo argomento è visto come una minaccia all'esistenza stessa dello Stato ebraico. Da parte araba, all'opposto, si continua ad alimentare il mito delle chiavi di casa, ancora custodite nei campi profughi dalle famiglie sfollate nel 1948 con la costituzione dello Stato di Israele. Il risultato è che la questione dei profughi rimane il grande argomento tabù di ogni negoziato politico sul conflitto israelo-palestinese. Un articolo del quotidiano libanese The Daily Star lancia un sasso nello stagno.