La Porta di Jaffa
Divisi sul Darfur
C'è una questione che sta facendo particolarmente discutere in Israele e nelle comunità ebraiche di tutto il mondo: la sorte dei profughi del Darfur. Perché la persecuzione che stanno vivendo in Sudan non può lasciare indifferente chi ha vissuto l'esperienza della Shoah. Però c'è un problema: per la sua collocazione geografica in Israele i profughi del Darfur non sono solo un fatto teorico. Perché alla frontiera con lo Stato ebraico dal Sudan attraverso l'Egitto ci si arriva davvero. E allora come comportarsi? Il parere di Yossi Sarid sul quotidiano Haaretz.
Palestina. È democrazia?
Hamas e Fatah rappresentano davvero la popolazione palestinese? È la domanda che Salim Nazzal. intellettuale palestinese della diaspora (vive in Norvegia), propone in un articolo pubblicato su Arabic Media Internet Network (Amin), un altro sito interessante da tener d'occhio per capire gli umori della società civile palestinese. Nazzal pensa che sia arrivato il momento di analisi coraggiose sul tema della democrazia all'interno delle istituzioni palestinesi.
Il cristiano Vanunu
Porta di Jaffa un po' particolare oggi: invece di rilanciare un commento riprendiamo una notizia dai siti israeliani, non sapendo se e quanto la stampa italiana vorrà occuparsene. Il quotidiano Yedioth Ahronot racconta che un giudice ha stabilito che Mordechai Vanunu debba tornare in carcere. Vanunu è un tecnico nucleare israeliano che lavorava alla centrale di Dimona e che ha già scontato per intero una condanna a diciotto anni di detenzione per aver rivelato, per motivi di coscienza, a un quotidiano britannico alcune notizie sull'arsenale nucleare israeliano. Ora è stato condannato ad altri sei mesi di reclusione per aver violato quindici dei divieti impostigli al momento del rilascio, nel 2004. Il suo caso è ormai internazionalmente noto e spesso additato come esempio di violazione dei diritti umani.
Blair al debutto
Un segnale positivo, nonostante le perplessità degli arabi sul curriculum di Blair. È l'atteggiamento con cui i giornali della regione salutano oggi la nomina dell'ex premier britannico a rappresentante del Quartetto (Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Onu) per il Medio Oriente. Particolarmente positivo il commento nell'editoriale di Haaretz («Benevenuto a bordo, Tony»), che sottolinea non solo l'esperienza internazionale di Blair, ma anche la chiarezza di vedute su quelli che sono i nodi del conflitto. Meno entusiasta, per contro, il quotidiano libanese The Daily Star.
Sondaggi palestinesi
Che cosa pensa la piazza palestinese di tutto quello che sta succedendo tra Gaza e la Cisgiordania? Il sito palestinese Miftah rilancia un sondaggio effettuato con criteri scientifici tra il 21 e il 22 giugno dall'Università nazionale An-Najah. Premessa: anche i Territori palestinesi sono un posto dove si fanno i sondaggi. Varrebbe la pena ricordarlo a qualche cronista o commentatore che quando parla di questa regione del mondo ha il tono dell'hic sunt leones. Si fanno i sondaggi che dicono cose interessanti. Date un'occhiata.
Castelli di sabbia
Merita di essere letto per intero l'articolo che proponiamo oggi. Su Yedioth Ahronot Nahum Barnea, uno dei più autorevoli editorialisti israeliani, propone un'analisi estramente lucida della situazione venutasi a creare a Gaza e in Cisgiordania. Al centro c'è una tesi forte: la vicinanza israelo-americana ad Abu Mazen e al governo costituito a Ramallah è solo un castello costruito sulla sabbia. Non è bene farsi grandi illusioni sullo Stato «buono», dei «moderati» di Fatah, in Cisgiordania.
5 Stati x 2 popoli
In questi giorni i palestinesi hanno due governi e forse anche due Stati. S'avvera il sogno di Ariel Sharon di confinare i palestinesi in riserve come avvenne in passato con i bantustan del Sudafrica, aree riservate alla popolazione nera, mentre governava la minoranza bianca? Se lo chiede oggi un editoriale del quotidiano israeliano Haaretz. Altri, come il sito palestinese Miftah, si domandano se la dirigenza palestinese di al Fatah saprà cogliere l'occasione per drastiche riforme al proprio interno.
Gaza. E adesso?
Anche sui giornali arabi si guarda ovviamente con grande preoccupazione ai fatti drammatici in corso a Gaza. Con giudizi sempre durissimi sul comportamento di Hamas e Fatah. Nell'editoriale che riportiamo a mo' di esempio, il libanese The Daily Star sostiene che «Hamas prosegue la tradizione palestinese di sprecare ogni opportunità». Altri, come il Jordan Times, si chiedono se Fatah, bocciato dall'elettorato eppure rimasto con gli stessi uomini ai vertici, rappresenti una credibile alternativa ad Hamas.
Occhio alla banca!
La Banca Leumi, uno dei maggiori istituti di credito israeliani, ha deciso di devolvere 20 milioni di shekel (circa 3 milioni 600 mila euro) ai sopravvissuti dell'Olocausto. Non si tratta di una liberalità disinteressata, ma di un gesto di «buona volontà» per riparare a una pagina non proprio edificante della sua storia. Ne parla un articolo del quotidiano Haaretz. Ecco, in sintesi, come è andata...
Disarmare l’Alta Corte?
Se, nella sempre più delicata questione dell'equilibrio tra lotta al terrorismo e salvaguardia dei diritti fondamentali, esiste una prima linea, di sicuro oggi uno dei suoi snodi cruciali è l'Alta Corte di giustizia israeliana. Non c'è infatti organismo giuridico al mondo che si sia trovato ad affrontare con la stessa continuità un problema così delicato. Oggi è preoccupante che l'Alta Corte israeliana sia sotto tiro da parte di forze politiche che, apertamente, parlano di limitarne i poteri. Ne danno conto due articoli pubblicati dai quotidiani The Jerusalem Post e Haaretz.
I parametri di Bill
Il vicolo cieco in cui è tornato a cacciarsi il conflitto israelo-palestinese è sotto gli occhi di tutti. E sui giornali del Medio Oriente ci si interroga su che cosa fare per ridare ossigeno al negoziato. In questa chiave diventa interessante l'articolo che proponiamo oggi, uscito nei giorni scorsi sul quotidiano di Dubai Gulf News. Lancia infatti un'idea: quella di richiamare in campo come mediatore Bill Clinton, l'ex presidente americano sotto il cui mandato iniziò e finì il processo di pace avviato a Oslo nel 1993.
L’affare della pace
Ma perché, con tante organizzazioni non governative in cui israeliani e palestinesi lavorano insieme, non si arriva mai alla pace? La domanda ricorre spesso tra la gente. Una risposta severa, ma ugualmente molto interessante, la offre una riflessione tratta dalla newsletter bitterlemons.org e rilanciata dal quotidiano libanese The Daily Star. Ve la proponiamo.