La Porta di Jaffa
Beaufort fa discutere
Tra pochi giorni, a Los Angeles, sarà la notte degli Oscar. E la novità di quest'anno è che in corsa per il miglior film straniero c'è anche un film israeliano: Beaufort, del giovane regista Joseph Cedar. Se uscisse vincitore dalla cinquina, sarebbe la prima volta di un Oscar a Gerusalemme. Ma non è solo per questo che Beaufort fa discutere in Medio Oriente. Al centro dell'attenzione c'è infatti l'argomento di questo film che ha già vinto l'Orso d'argento al Festival di Berlino: la prima Guerra del Libano, quella dell'invasione voluta da Ariel Sharon nel 1982 e terminata con il ritiro israeliano del 2000.
Gli arabi di Galilea
La questione degli arabi cittadini di Israele si fa sempre più calda. Attualmente sono il 20 per cento della popolazione. Ma con gli attuali trend demografici questa percentuale è destinata a salire. E - gioco forza - è una presenza sempre più difficile da coniugare con l'idea di Israele come Stato ebraico. Due notizie interessanti tratte dai giornali di questi giorni ci mostrano come il nervo si faccia ogni giorno che passa più scoperto.
Lo choc di Dimona
Sono tornati gli attentati suicidi in Israele. E la notizia non può che dominare sulle pagine dei giornali. In Medio Oriente, ma non solo. L'impressione è quella di un copione purtroppo già visto tante volte. Però c'è un fatto nuovo che vale la pena di sottolineare: non poteva esserci un luogo più simbolico della città di Dimona, 40 mila abitanti, nel cuore del deserto del Negev. Non lontano da Dimona, infatti, sarebbe stoccato l'arsenale nucleare israeliano. Nella mente di chi ha progettato l'attentato, l'idea era proprio quella di colpire là dove Israele ha le sue armi più potenti. E ancora una volta le prospettive di pace potrebbero allontanarsi.
Tutti gli occhi su Obama
Fiato sospeso in queste ore in Medio Oriente in attesa della diffusione del rapporto Winograd, frutto del lavoro della commissione di inchiesta israeliana sulla guerra in Libano dell'estate 2006. Un verdetto dal quale dipende il futuro politico del primo ministro Ehud Olmert. Ma a giudicare dal barometro dei giornali, più che a possibili elezioni anticipate in Israele l'attenzione è tutta concentrata su altre consultazioni: spopolano infatti i commenti sulle primarie degli Stati Uniti.
Gemelli siamesi
Siamo all'ennesima crisi umanitaria. A Gaza. E anche a Sderot. Nella Striscia l'ulteriore stretta sui rifornimenti di gasolio ha creato nuovi problemi all'approvvigionamento dell'energia elettrica. Con le conseguenze facilmente immaginabili su ospedali e generi di prima necessità. Come sempre accade in questo conflitto la battaglia si è subito spostata sui media. Con il consueto scambio di accuse reciproche sulle responsabilità di questa situazione.
Dopo Bush, raid su Gaza
È l'inesorabile legge del pendolo in Medio Oriente. Dopo i grandi discorsi intorno al viaggio di George W. Bush, lunedì si riuniscono per la prima volta le delegazioni israeliana e palestinese per discutere dei famosi nodi eternamente aperti del conflitto (confini, profughi, Gerusalemme, eccetera). E che succede martedì? Puntuale arriva l'incursione israeliana a Gaza, rinviata la scorsa settimana per evitare di guastare la festa a Bush. E tra Gaza e Sderot diventa la giornata più insanguinata degli ultimi mesi.
Il last minute di Bush
Come scrive David Levy sulle colonne di Haaretz, dopo oltre 2.500 giorni dalla sua elezione George W. Bush arriva in visita in Israele e nei Territori palestinesi. Da mercoledì a venerdì farà la spola tra Gerusalemme e Ramallah. E dalla sua stanza del King David - l'hotel più celebre di Gerusalemme, ma anche il luogo dove nel 1946 si compì il più sanguinoso attentato delle formazioni paramilitari ebraiche (91 morti) al tempo della guerra contro gli inglesi - avrà modo di conoscere finalmente di prima mano le contraddizioni della Città Santa.
L’orsacchiotto sudanese
Citavamo già qualche settimana fa il principe Hassan bin Talal di Giordania come una delle voci più coraggiose nel dialogo tra l'islam e l'Occidente. È di questi giorni un altro suo intervento su un tema molto caldo: la vicenda della professoressa inglese e dell'orsacchiotto a cui in Sudan è stato dato il nome Muhammad. Apparso inizialmente sul Guardian questo articolo è stato poi rilanciato anche in arabo da Common Ground, uno dei siti più importanti dedicati al dialogo in Medio Oriente.
Dilemmi da Stato ebraico
Uno dei nodi al centro del negoziato ripreso ufficialmente ieri tra israeliani e palestinesi è la definizione di Israele come Stato ebraico. Olmert l'ha posta come una delle condizioni chiave da parte israeliana. Ma da parte palestinese c'è molta freddezza. Detta così rischia di diventare l'ennesima bandiera intorno alla quale scontrarsi. Senza affrontare la domanda vera: che cosa vuol dire per Israele oggi essere uno Stato ebraico? È un interrogativo al quale gli stessi ebrei israeliani danno risposte molto diverse. Lo spiega molto bene l'articolo di Shulamit Aloni pubblicato oggi su Yedioth Ahronot e che qui rilanciamo.
Il blocco di Gaza
Ieri il mondo ha celebrato l'anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Una ricorrenza particolarmente solenne, quest'anno, perché è stata l'occasione per lanciare una grande campagna all'Onu in occasione dei 60 anni di questo documento, che rappresenta una delle sintesi più alte mai elaborate dalla politica internazionale. C'è poca aria di celebrazione, però, in giro. Ci si chiede: è davvero possibile garantire i diritti anche nel mondo del dopo-11 settembre? Una prospettiva interessante per affrontare questa domanda la offre l'articolo che rilanciamo oggi, tratto dal sito palestinese Amin.
L’esodo degli ebrei russi
Qual è la sorte degli ebrei russi? Se lo chiede Haviv Rettig in un interessante articolo che rilanciamo dal Jerusalem Post. Vi si non parla tanto degli ebrei russi (un milione) che dagli anni Novanta sono immigrati in Israele. Il discorso si concentra invece sugli altri: i circa 700 mila rimasti nell'ex Unione Sovietica, gli altrettanti ebrei russofoni emigrati negli Stati Uniti e i 200 mila che vivono in Germania. Che cosa è rimasto di questa comunità della diaspora così importante per la storia dell'ebraismo?
In caso di sisma…
Nelle ultime due settimane ci sono state quattro lievi scosse di terremoto con epicentro nella Valle del Giordano. Hanno provocato un po' di paura, ma nessun danno significativo. Salvo un problema non da poco: ci si è accorti all'improvviso che in Israele (e ancora di più nei Territori dell'Autorità palestinese) l'impreparazione rispetto a un terremoto di grandi proporzioni è assoluta. Lo racconta bene un articolo di Shahar Ilan pubblicato sul quotidiano Haaretz.