La Porta di Jaffa
Chi viene e chi va
Nel giro di un paio di settimane, a Gerusalemme e a Ramallah avremo due nuovi governi. E queste sono le ore in cui si vanno definendo gli assetti. Guardando la situazione da lontano molti hanno l'impressione che il Medio Oriente stia facendo non uno ma ben due passi avanti verso il precipizio. Due articoli usciti in queste ore su Arab News e sul Jerusalem Post ci possono forse aiutare a capire dall'interno quello che sta succedendo. E quali sono i rischi, ma anche le opportunità di questa situazione.
8 marzo in Medio Oriente
Si avvicina l'8 marzo e non fa mai male ricordare quanto la condizione della donna sia una delle questioni chiave per dare un futuro al Medio Oriente. Altrimenti si rischia di giocare tutti a Risiko: inventare piani di pace e castelli di carte su cui il tutto dovrebbe reggersi; perdendo, però, di vista come sia nelle società il terreno dove bisogna provare a costruire qualcosa di diverso. Tre articoli usciti in questi giorni ci dicono come in Medio Oriente oggi siano sempre di più le donne che alzano la voce per far valere i propri diritti. E gli effetti cominciano a vedersi.
I costi della follia
A Sharm el Sheikh, in Egitto, lunedì è in programma il vertice dei Paesi donatori che dovrebbe affrontare il tema della ricostruzione a Gaza dopo il conflitto delle scorse settimane. Sarà il debutto vero per Hillary Clinton in Medio Oriente. Ma anche l'Italia si prepara ad arrivare sul Mar Rosso con rulli di tamburo, forte del ruolo di presidente di turno del G8. A raffreddare un po' gli entusiasmi arriva, però, oggi un editoriale difficilmente contestabile del quotidiano libanese The Daily Star. Il titolo è già un programma: «Fino a quando il mondo continuerà a pagare per la follia di israeliani e palestinesi?». Il giornale libanese paragona queste conferenze a una fatica di Sisifo.
Lo sport non fa la pace
Il visto d'ingresso non rilasciato alla tennista israeliana Shahar Peer in occasione di un torneo internazionale a Dubai, ha provocato i soliti commenti indignati di chi - all'improvviso - scopre che il mondo dello sport in Medio Oriente non è una «zona franca» rispetto ai conflitti. Ma le cose potrebbero davvero andare diversamente? Intanto sgomberiamo il campo da un equivoco: l'idea che lo sport sia una specie di «magia», sempre e comunque in grado di affratellare tra loro i popoli. Questa è solo una bella immagine per le riviste patinate. Notizie e riflessioni dalla stampa mediorientale.
Svolta a destra. O no?
Ma la società israeliana sta andando davvero così a destra? Indipendentemente dal fatto che a guidare il prossimo governo sia Tzipi Livni o Benjamin Netanyahu, il tratto comune di tutte le analisi sembra l'idea che il voto del 10 febbraio 2009 ha visto l'elettorato israeliano spostarsi con decisione verso la parte ostile a qualsiasi compromesso con i palestinesi. Eppure non tutti i conti tornano. E un articolo di Yedioth Ahronoth lo fa notare molto bene.
Lieberman in ascesa
I sondaggi in Israele vanno presi sempre con le molle. Ma se la linea di tendenza fosse confermata dalle elezioni di martedì prossimo, in Israele il vero vincitore non sarebbe affatto Benjamin Netanyahu (abbondantemente sotto la soglia dei 30 seggi su 120), ma Avigdor Lieberman, il leader di Yisrael Beitenu. Dopo la guerra a Gaza gli si accreditano 17-18 seggi alla Knesset, forse anche 20. Rispetto agli 11 presi nel 2006. Che avevano già quasi triplicato i 4 della tornata precedente. Con una forza del genere nessuno potrebbe più ignorarlo. Ma chi è Lieberman?
Il Medio Oriente di Obama
L'intervista rilasciata il 26 gennaio scorso alla televisione Al Arabiya dal nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha segnato un punto di svolta per i rapporti con il mondo islamico? E i primi passi compiuti dall'inviato americano George Mitchell sono davvero l'inizio di una nuova politica in Medio Oriente? Sono domande sulle quali i giornali arabi si dividono in queste ore.
La parola ai duri
Se ci voleva un ulteriore conferma al fatto che - una volta rotti i cocci con una guerra - non è mai facile rimetterli insieme, puntuali in Israele sono arrivati i sondaggi in vista delle elezioni del 10 febbraio. Alla fine chi ha guadagnato davvero più consensi grazie alla campagna di Gaza? Né Netanyahu, né la Livni, né lo stesso Barak. Il balzo in avanti più significativo l'ha fatto Avigdor Lieberman, il leader di Yisrael Beitenu. Secondo alcuni sondaggi potrebbe arrivare a conquistare 16 seggi, diventando il terzo partito dietro a Likud e Kadima.
Oltre Gaza
Ormai a Gaza si muore per un braccio di ferro sui dettagli. Ogni ora che passa appare sempre più chiaro che alla fine si arriverà a un cessate il fuoco, grosso modo nei termini indicati dall'iniziativa franco-egiziana. Però - e lo scrivevamo già qualche giorno fa - questa guerra è politica. E allora si va avanti perché ciascuno aspetta il momento giusto per accettare. Quello che gli permetterà di sbandierare come un successo questi ormai 20 giorni di follia. Iniziando già a pensare al dopo - pur consapevoli che in queste ore si muore ancora - segnaliamo tre articoli attinti dalla stampa israeliana e libanese.
Una guerra paradossale
Non c'è guerra più pericolosa di quelle i cui obiettivi non sono militari, ma politici. Se si punta a «ristabilire la deterrenza» e «ridare sicurezza» tutto si gioca sulle percezioni. Alla fine vince chi sa usare meglio la propaganda. Indipendentemente dai morti e dalle bombe. È quanto sta succedendo in questa assurda guerra di Gaza. La più paradossale tra le guerre del Medio Oriente.
Gaza ieri e oggi
Non era affatto difficile prevedere che le nuvole che si addensavano su Gaza avrebbero scaricato presto la loro pioggia di morte e di dolore. E allora - di fronte alle cronache di queste ore, che ripetono un copione troppe volte già visto - vale la pena di soffermarsi su alcuni articoli della stampa araba che ci aiutano ad andare un po' al di là della mera catena di azioni e reazioni tra Hamas e Israele.
Il Natale di Gaza
Sarà un altro Natale carico di tensione e paura quello dei cristiani di Gaza. La tregua è finita, i lanci di missili palestinesi Qassam e le ritorsioni dell'aviazione israeliana sono ricominciate, il soldato israeliano Gilad Shalit è sempre prigioniero e si ritorna a parlare di un'azione di terra di Israele per spazzare via Hamas. In questo quadro tutt'altro che rassicurante ieri i cristiani di Gaza hanno potuto almeno ricevere la prima visita del patriarca latino Fouad Twal, come racconta l'agenzia palestinese Maan.