La Porta di Jaffa
Obama ha parlato. E ora?
Da tutto il Medio Oriente piovono commenti sul discorso pronunciato il 4 giugno dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, al Cairo. Parole evidentemente molto importanti: probabilmente non a torto questa volta è stato utilizzato l'aggettivo «storico». Proviamo, però, ad andare oltre la retorica e a capire quali sono le novità vere di questo passo compiuto dal presidente americano. E domandiamoci quali svolte concrete si prospettano sul terreno.
Libano, urne che scottano
Siamo ormai alla vigilia di un appuntamento elettorale molto importante per il Medio Oriente: il 7 giugno il Libano vota per il suo nuovo Parlamento. In qualche modo è la «resa dei conti» per questo Paese da sempre alle prese con equilibri molto delicati. Ma è un voto che, probabilmente, sul futuro immediato dell'intera regione avrà molte più ricadute concrete delle parole di buon senso giunte in questi giorni da Washington sul processo di pace tra israeliani e palestinesi.
Il giorno di Gerusalemme
Sono cominciati ieri sera a Gerusalemme i festeggiamenti di Yom Yerushalaim, la festività istituita dopo la «riunificazione» del 1967. È il giorno per eccellenza degli slogan sulla «capitale unica e indivisibile» di Israele. Ma è anche il giorno dei numeri sulla città. Gli stessi che spiegano come questo slogan abbia a che fare con i sogni, più che con la realtà.
Strabismi e faziosità
È finito il viaggio del Papa in Terra Santa. E in Medio Oriente è l'analisi politica a dominare nel bilancio tracciato dei quotidiani. Che intrecciano la lettura delle giornate di Benedetto XVI con l'altro appuntamento molto atteso di questi giorni: l'incontro che lunedì si svolgerà a Washington tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente americano Barack Obama.
Un Papa alla prova
Leggendo quanto in questi giorni in Israele e in Giordania i giornali scrivono sulla visita del Papa in Terra Santa che inizia oggi, balzano all'occhio due atteggiamenti completamente diversi: mentre nel regno hashemita si fa di tutto per sottolineare le speranze riposte in questa visita, a Gerusalemme e a Tel Aviv prevale un atteggiamento sulla difensiva. Diamo un'occhiata ad alcuni importanti quotidiani dei due Paesi.
Archeologia militante
Sta per succedere qualcosa di grosso a Gerusalemme. E non è una buona notizia per la pace. In questi ultimi giorni è tornata pericolosamente a salire la tensione intorno al quartiere di Al-Bustan, un gruppo di case arabo a due passi dal Muro Occidentale su cui da tempo Elad - il braccio archeologico-immobiliare dei coloni - vuole mettere le mani. E adesso a gettare benzina sul fuoco è addirittura il ministro degli Interni del governo di Israele. Questa è la tipica vicenda che può scatenare il finimondo in Terra Santa.
Con Durban II alle spalle
È andata purtroppo come ci si aspettava: a Ginevra la Conferenza Onu sul razzismo - la cosiddetta Durban II - è stata il trionfo dell'ideologia. Ci sono state le affermazioni di Ahmadinejad. C'è stato il boicottaggio. Ma non c'è stata un'azione concreta che abbia preso di mira sul serio uno specifico comportamento intollerante o xenofobo in Medio Oriente. Tanti slogan su «occupazione» o «antisemitismo», a seconda dei punti di vista. Ma non cambiano di un millimetro le situazioni ingiuste. Per fortuna proprio dal cuore di questo conflitto arriva la notizia di due iniziative che vanno in direzione opposta.
Fare marketing col Papa
Manca meno di un mese ormai al viaggio del Papa in Terra Santa. E nei giorni scorsi anche i governi di Israele e della Giordania hanno scoperto le loro carte in vista di questo appuntamento. Sono infatti on line i due siti Internet che i rispettivi ministeri del turismo dedicano all'ospite in arrivo dal Vaticano. Metterli a confronto è un'operazione che già da sola dice molto.
Che Pesach è
Come spesso accade, anche quest'anno la Pasqua cristiana si intreccia con Pesach, la Pasqua ebraica. La festa che ricorda la liberazione dall'Egitto per il mondo ebraico è iniziata la sera dell'8 aprile con il séder - la cena rituale in cui si recita l'Haggadah - e andrà avanti per otto giorni. Un'ottima occasione per riscoprire le nostre radici comuni. A partire anche dai giornali israeliani, dove come è ovvio in queste ore si parla molto di Pesach.
L’avanzata dei coloni
Ancora ragazzini. Uno di 16 anni morto e l'altro di 7 gravemente ferito. È il risultato dell'aggressione a colpi di ascia compiuta da un palestinese ieri mattina nell'insediamento di Bet Ayin, nel Gush Etzion. L'ennesimo capitolo della strage degli innocenti che contraddistingue il conflitto israelo-palestinese: in poche guerre i minori - da una parte come dell'altra - hanno pagato un prezzo così alto. Ma in questo caso specifico sono vittime della stoltezza con cui si continua a non fare i conti con il problema degli insediamenti...
La crisi sfida Bibi
Siamo ormai alla vigilia dell'insediamento del governo Netanyahu. Sul profilo del nuovo premier e delle altre due star della compagine - il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman e quello della Difesa Ehud Barak - in questi giorni si è parlato fino alla noia. C'è un aspetto, invece, di cui si parla molto poco: gli effetti della crisi finanziaria globale in Israele. Quando dall'esterno si guarda verso Gerusalemme ci si concentra sempre e solo sui rapporti con i palestinesi. Invece le questioni economiche probabilmente sono destinate a contare molto nei prossimi mesi. Due articoli ci aiutano a capirlo.
Shalit (e 10 mila altri)
Ancora una volta è finita male: il soldato Gilad Shalit - a ormai quasi tre anni dal suo rapimento - resta nelle mani di Hamas a Gaza. E nelle carceri israeliane continuano a essere detenuti 10 mila palestinesi. I negoziati last minute del governo Olmert sono falliti. Ed è difficile immaginare che Shalit possa riportarlo a casa la diplomazia di Avigdor Lieberman. Questa dei prigionieri è una tragedia che qui in Italia continuiamo a guardare troppo dall'esterno. Proviamo allora a lasciarci aiutare da due voci «informali» per capire come la viva davvero la gente a Gerusalemme e a Ramallah.