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Fare marketing col Papa
Manca meno di un mese ormai al viaggio del Papa in Terra Santa. E nei giorni scorsi anche i governi di Israele e della Giordania hanno scoperto le loro carte in vista di questo appuntamento. Sono infatti on line i due siti Internet che i rispettivi ministeri del turismo dedicano all'ospite in arrivo dal Vaticano. Metterli a confronto è un'operazione che già da sola dice molto.
Che Pesach è
Come spesso accade, anche quest'anno la Pasqua cristiana si intreccia con Pesach, la Pasqua ebraica. La festa che ricorda la liberazione dall'Egitto per il mondo ebraico è iniziata la sera dell'8 aprile con il séder - la cena rituale in cui si recita l'Haggadah - e andrà avanti per otto giorni. Un'ottima occasione per riscoprire le nostre radici comuni. A partire anche dai giornali israeliani, dove come è ovvio in queste ore si parla molto di Pesach.
L’avanzata dei coloni
Ancora ragazzini. Uno di 16 anni morto e l'altro di 7 gravemente ferito. È il risultato dell'aggressione a colpi di ascia compiuta da un palestinese ieri mattina nell'insediamento di Bet Ayin, nel Gush Etzion. L'ennesimo capitolo della strage degli innocenti che contraddistingue il conflitto israelo-palestinese: in poche guerre i minori - da una parte come dell'altra - hanno pagato un prezzo così alto. Ma in questo caso specifico sono vittime della stoltezza con cui si continua a non fare i conti con il problema degli insediamenti...
La crisi sfida Bibi
Siamo ormai alla vigilia dell'insediamento del governo Netanyahu. Sul profilo del nuovo premier e delle altre due star della compagine - il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman e quello della Difesa Ehud Barak - in questi giorni si è parlato fino alla noia. C'è un aspetto, invece, di cui si parla molto poco: gli effetti della crisi finanziaria globale in Israele. Quando dall'esterno si guarda verso Gerusalemme ci si concentra sempre e solo sui rapporti con i palestinesi. Invece le questioni economiche probabilmente sono destinate a contare molto nei prossimi mesi. Due articoli ci aiutano a capirlo.
Shalit (e 10 mila altri)
Ancora una volta è finita male: il soldato Gilad Shalit - a ormai quasi tre anni dal suo rapimento - resta nelle mani di Hamas a Gaza. E nelle carceri israeliane continuano a essere detenuti 10 mila palestinesi. I negoziati last minute del governo Olmert sono falliti. Ed è difficile immaginare che Shalit possa riportarlo a casa la diplomazia di Avigdor Lieberman. Questa dei prigionieri è una tragedia che qui in Italia continuiamo a guardare troppo dall'esterno. Proviamo allora a lasciarci aiutare da due voci «informali» per capire come la viva davvero la gente a Gerusalemme e a Ramallah.
Chi viene e chi va
Nel giro di un paio di settimane, a Gerusalemme e a Ramallah avremo due nuovi governi. E queste sono le ore in cui si vanno definendo gli assetti. Guardando la situazione da lontano molti hanno l'impressione che il Medio Oriente stia facendo non uno ma ben due passi avanti verso il precipizio. Due articoli usciti in queste ore su Arab News e sul Jerusalem Post ci possono forse aiutare a capire dall'interno quello che sta succedendo. E quali sono i rischi, ma anche le opportunità di questa situazione.
8 marzo in Medio Oriente
Si avvicina l'8 marzo e non fa mai male ricordare quanto la condizione della donna sia una delle questioni chiave per dare un futuro al Medio Oriente. Altrimenti si rischia di giocare tutti a Risiko: inventare piani di pace e castelli di carte su cui il tutto dovrebbe reggersi; perdendo, però, di vista come sia nelle società il terreno dove bisogna provare a costruire qualcosa di diverso. Tre articoli usciti in questi giorni ci dicono come in Medio Oriente oggi siano sempre di più le donne che alzano la voce per far valere i propri diritti. E gli effetti cominciano a vedersi.
I costi della follia
A Sharm el Sheikh, in Egitto, lunedì è in programma il vertice dei Paesi donatori che dovrebbe affrontare il tema della ricostruzione a Gaza dopo il conflitto delle scorse settimane. Sarà il debutto vero per Hillary Clinton in Medio Oriente. Ma anche l'Italia si prepara ad arrivare sul Mar Rosso con rulli di tamburo, forte del ruolo di presidente di turno del G8. A raffreddare un po' gli entusiasmi arriva, però, oggi un editoriale difficilmente contestabile del quotidiano libanese The Daily Star. Il titolo è già un programma: «Fino a quando il mondo continuerà a pagare per la follia di israeliani e palestinesi?». Il giornale libanese paragona queste conferenze a una fatica di Sisifo.
Lo sport non fa la pace
Il visto d'ingresso non rilasciato alla tennista israeliana Shahar Peer in occasione di un torneo internazionale a Dubai, ha provocato i soliti commenti indignati di chi - all'improvviso - scopre che il mondo dello sport in Medio Oriente non è una «zona franca» rispetto ai conflitti. Ma le cose potrebbero davvero andare diversamente? Intanto sgomberiamo il campo da un equivoco: l'idea che lo sport sia una specie di «magia», sempre e comunque in grado di affratellare tra loro i popoli. Questa è solo una bella immagine per le riviste patinate. Notizie e riflessioni dalla stampa mediorientale.
Svolta a destra. O no?
Ma la società israeliana sta andando davvero così a destra? Indipendentemente dal fatto che a guidare il prossimo governo sia Tzipi Livni o Benjamin Netanyahu, il tratto comune di tutte le analisi sembra l'idea che il voto del 10 febbraio 2009 ha visto l'elettorato israeliano spostarsi con decisione verso la parte ostile a qualsiasi compromesso con i palestinesi. Eppure non tutti i conti tornano. E un articolo di Yedioth Ahronoth lo fa notare molto bene.