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Quei grappoli folli
Israele si misura aspramente, in questi giorni, con il responso della relazione stilata dalla Commissione Winograd, l'organismo che ha messo sotto esame l'operato del governo di Gerusalemme e delle più alte cariche militari sdurante la guerra in Libano dell'estate scorsa. Ma dal rapporto provvisorio, che ha preso in esame solo l'avvio del conflitto, manca ancora una risposta: chi ordinò di cospargere il suolo libanese di bombe a grappolo quando ormai il cessate-il-fuoco era stato deciso? Un articolo del quotidiano libanese Daily Star.
La parola all’avversario
Si può discutere con franchezza delle ragioni e dei torti nel conflitto israelo-palestinese senza trasformare per forza in caricatura le posizioni dell'altro? È l'esperienza interessante proposta in questa lunga intervista di Ruthie Blum a Sari Nusseibeh apparsa sul Jerusalem Post. La prima è una sanguigna giornalista ebreo-israeliana che ha recentemente pubblicato un libro sulle sofferenze patite dalla popolazione di Israele durante la seconda Intifada, il secondo è un intellettuale palestinese, rettore dell'Università al-Quds. Un invito alla lettura.
Yehoshua: «Piangiamo insieme i nostri morti»
Una giornata per ricordare contemporaneamente, in Israele e nei Territori palestinesi, le vittime civili del conflitto. È la proposta che lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua lancia attraverso l'articolo che riproponiamo oggi, pubblicato sulle colonne di Yediot Ahronot. La proposta nasce nel clima di questi giorni, in cui Israele ha ricordato il 59.mo anniversario della sua fondazione.
Il caso Bishara
Per una settimana il suo nome ha campeggiato sulle prime pagine dei quotidiani israeliani. Alla fine Azmi Bishara, uno dei dieci arabi-israeliani a sedere tra i 120 membri del Parlamento israeliano, ha dato le dimissioni dalla Knesset. Lo accusano di collaborazionismo con gli Hezbollah e la Siria durante la guerra dell'estate scorsa. La vicenda Bishara rilancia la questione degli arabi-israeliani considerati sempre di più dai connazionali ebrei come una sorta di quinta colonna del nemico. Tra le molte voci, riportiamo un'analisi del settimanale egiziano Al-Ahram e le dichiarazioni di alcuni parlamentari delle destra israeliana raccolte dal sito dei coloni Arutz Sheva.
Mozart a Ramallah
La musica di Mozart tra Nablus, Betlemme e Ramallah. Suonata da concertisti di livello internazionale, per una buona metà palestinesi. Uno dei problemi più gravi dei racconti del conflitto israelo-palestinese sono le immagini stereotipate che rimbalzano sui nostri mass media. Quelle in cui Israele e i Territori sono solo i caccia F16 e i kamikaze di Hamas. Invece c'è anche altro. Ce ne dà conto un articolo di Haaretz.
Gli ebrei che resistettero all’Olocausto
In queste ore Israele celebra la sua Giornata della memoria che cade ogni anno il 27 del mese di Nisan, pochi giorni dopo la Pasqua ebraica. La data ricorda la rivolta del ghetto di Varsavia, il più famoso tra gli episodi di resistenza messi in atto durante la persecuzione nazista. Quella simboleggiata dalla rivolta nel ghetto di Varsavia fu, però, davvero l'unica forma di resistenza ebraica al nazismo? È la domanda che si pone l'articolo che proponiamo oggi, pubblicato in questi giorni sul Jerusalem Post. Matthew Wagner ricostruisce la questione dell'opposizione alla Shoà attraverso la prospettiva degli haredi, i religiosi ultraortodossi.
Scambi impossibili
Negli ultimi giorni è tornata in prima pagina sui quotidiani della regione mediorientale la questione delle trattative sulla liberazione di Gilad Shalit, il caporale dell'esercito israeliano rapito a Gaza il 25 giugno scorso e tuttora nelle mani di Hamas. Il governo palestinese ha fatto avere a quello israeliano una lista di un migliaio di prigionieri palestinesi attualmente nelle carceri israeliane al fine di procedere a uno scambio. Ma sembra essere un vicolo cieco e allora varie voci sulla stampa, anche palestinese, invitano il governo Haniyeh a spiazzare gli israeliani con un rilascio unilaterale.
Hebron, pietra d’inciampo
Nella città di Hebron è in corso un nuovo capitolo di quella politica del «fatto compiuto» che ha accompagnato per quarant'anni la crescita degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Da un paio di settimane, infatti, una ventina di famiglie di coloni abita in un edificio di quattro piani nel mezzo di una zona interamente araba e hanno intenzione di ristrutturarlo per poter ospitare altre venti famiglie. Il ministro israeliano della Difesa ha promesso che li farà sgombrare, ma non c'è da giurarci. In Israele se ne discute e noi vi riferiamo due opposti pareri riportati sulla stampa.
L’Egitto guarda a est, molto più a est
Il protagonismo diplomatico dell'Arabia Saudita segna il declino del ruolo svolto per anni dall'Egitto nello scacchiere del Medio Oriente? La domanda è rimbalzata al Cairo dal recente vertice della Lega Araba di Riad. Un interrogativo che, sulle colonne del settimanale egiziano Al-Ahram, affronta anche lo storico Anouar Abdel-Malek, uno dei maggiori studiosi dell'era Nasser. Un articolo che offre una prospettiva interessante per guardare a un altro scenario che, sotto traccia ma in maniera non meno significativamente, va muovendosi nella regione.
Il guardiano del valico
Un generale italiano comanda gli osservatori dell'Unione Europea dislocati al valico di Rafah tra Egitto e Striscia di Gaza. È Pietro Pistolese (66 anni), ufficiale dei Carabinieri di origini emiliane. Il quotidiano Jerusalem Post lo ha intervistato nei giorni scorsi per chiedergli come valuti la situazione odierna dell'unico posto di frontiera tra Egitto e Territori palestinesi. Ecco cosa ne dice il generale.