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L’orsacchiotto sudanese
Citavamo già qualche settimana fa il principe Hassan bin Talal di Giordania come una delle voci più coraggiose nel dialogo tra l'islam e l'Occidente. È di questi giorni un altro suo intervento su un tema molto caldo: la vicenda della professoressa inglese e dell'orsacchiotto a cui in Sudan è stato dato il nome Muhammad. Apparso inizialmente sul Guardian questo articolo è stato poi rilanciato anche in arabo da Common Ground, uno dei siti più importanti dedicati al dialogo in Medio Oriente.
Dilemmi da Stato ebraico
Uno dei nodi al centro del negoziato ripreso ufficialmente ieri tra israeliani e palestinesi è la definizione di Israele come Stato ebraico. Olmert l'ha posta come una delle condizioni chiave da parte israeliana. Ma da parte palestinese c'è molta freddezza. Detta così rischia di diventare l'ennesima bandiera intorno alla quale scontrarsi. Senza affrontare la domanda vera: che cosa vuol dire per Israele oggi essere uno Stato ebraico? È un interrogativo al quale gli stessi ebrei israeliani danno risposte molto diverse. Lo spiega molto bene l'articolo di Shulamit Aloni pubblicato oggi su Yedioth Ahronot e che qui rilanciamo.
Il blocco di Gaza
Ieri il mondo ha celebrato l'anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Una ricorrenza particolarmente solenne, quest'anno, perché è stata l'occasione per lanciare una grande campagna all'Onu in occasione dei 60 anni di questo documento, che rappresenta una delle sintesi più alte mai elaborate dalla politica internazionale. C'è poca aria di celebrazione, però, in giro. Ci si chiede: è davvero possibile garantire i diritti anche nel mondo del dopo-11 settembre? Una prospettiva interessante per affrontare questa domanda la offre l'articolo che rilanciamo oggi, tratto dal sito palestinese Amin.
L’esodo degli ebrei russi
Qual è la sorte degli ebrei russi? Se lo chiede Haviv Rettig in un interessante articolo che rilanciamo dal Jerusalem Post. Vi si non parla tanto degli ebrei russi (un milione) che dagli anni Novanta sono immigrati in Israele. Il discorso si concentra invece sugli altri: i circa 700 mila rimasti nell'ex Unione Sovietica, gli altrettanti ebrei russofoni emigrati negli Stati Uniti e i 200 mila che vivono in Germania. Che cosa è rimasto di questa comunità della diaspora così importante per la storia dell'ebraismo?
In caso di sisma…
Nelle ultime due settimane ci sono state quattro lievi scosse di terremoto con epicentro nella Valle del Giordano. Hanno provocato un po' di paura, ma nessun danno significativo. Salvo un problema non da poco: ci si è accorti all'improvviso che in Israele (e ancora di più nei Territori dell'Autorità palestinese) l'impreparazione rispetto a un terremoto di grandi proporzioni è assoluta. Lo racconta bene un articolo di Shahar Ilan pubblicato sul quotidiano Haaretz.
Quelli che remano contro
Si parla molto delle tante questioni lasciate aperte dalla dichiarazione israelo-palestinese di Annapolis. E di come la scadenza del 2008 fissata per il negoziato sia quanto meno un po' azzardata. Il rischio, però, è quello di fermarsi al Risiko dei confini e delle armate. Quando invece la possibilità della pace si gioca su ben altro. Lo spiegano molto bene due notizie uscite in queste ore in Israele e in Palestina. Ve le riassumiamo
Annapolis, lecito sperare
Oggi Annapolis. E dopo? Mentre sta per aprirsi la conferenza che per la prima volta vedrà così tanti Paesi arabi attorno allo stesso tavolo di Israele per discutere di Medio Oriente, diventa molto interessante l'edizione di ieri di bitterlemons.org, la newsletter in cui i punti di vista israeliani e palestinesi ogni settimana si incrociano su uno stesso tema. Rilanciamo, dunque, gli articoli di Yossi Alpher e Ghassan Khatib, i due promotori di questo crocevia elettronico, che si distingue spesso per il grande realismo nelle analisi.
Annapolis. Perché esserci
Si moltiplicano le voci scettiche in questa ormai lunga vigilia della Conferenza di Annapolis, in programma per martedì negli Stati Uniti. La notizia di oggi è una bozza di quella che dovrebbe essere la dichiarazione di principi comune: un testo molto vago. E per di più - al 17 novembre, data cui risale questa bozza - ancora piena di frasi introdotte dalla sigla I. o P., cioè punti proposti da un parte e non accettati dall'altra. In questo clima diventa molto interessante l'articolo di Sami Khouri, opinionista del quotidiano libanese The Daily Star, che rilanciamo oggi.
Le chiusure di Olmert
Stretta finale verso la conferenza di Annapolis. Oggi Olmert ha messo sul tavolo due nuovi importanti biglietti da visita: la promessa che smantellerà gli insediamenti nei Territori non riconosciuti dal governo e che libererà altri 441 prigionieri. Però precisa che negli Usa non si discuteranno direttamente i nodi del conflitto (Gerusalemme, confini, profughi...). Contro questa impostazione «prudente» si è schierato oggi con un articolo Yossi Beilin, protagonista nei negoziati di Oslo e attualmente leader del partito della sinistra pacifista Yahad, in un articolo pubblicato da Haaretz.
Mendicanti al Muro
È giusto che i mendicanti chiedano l'elemosina nei pressi di un luogo sacro? La domanda è sempre attuale per tutte le religioni. E molto bella è la risposta che sul Jerusalem Post ci propone la scrittrice Sarah Shapiro. Il suo articolo prende spunto da un fatto di cronaca: il Kotel - il nome con cui gli ebrei chiamano il Muro Occidentale - è stato nei giorni scorsi «ripulito» dei suoi mendicanti. E la scrittrice racconta che cos'ha provato recandosi nel luogo più sacro per un ebreo senza - per una volta - fare i conti con i poveri.