Arte
Lebanon, la guerra a nudo
Il film Lebanon, che domenica 13 settembre ha vinto il Leone d'oro alla 66ma Mostra del cinema di Venezia, segna il debutto di Samuel Maoz come regista di cinema. La pellicola racconta il primo giorno della prima guerra del Libano (1982) attraverso gli occhi dei quattro carristi e la lente del loro periscopio. Lebanon è la dimostrazione che per fare un film contro la guerra non occorre essere ideologici, né perdere tempo a tracciare solchi tra sedicenti buoni e presunti cattivi.
Quattro atleti a Pechino
Inshallah Beijing!, documentario di Francesco Cannito e Luca Cusani, scritto con Michela Sechi, racconta la vicenda degli atleti palestinesi che hanno preso parte alle ultime Olimpiadi. La pellicola ha vinto la sezionepalestinese dell'Al Jazeera International Documentary Film Festival e ha partecipato con successo anche al Tekfestival di Roma e al DocumentaMadrid. Fra poco sarà in concorso alla Festa del documentario "Hai visto mai?", di Siena, dove sarà proiettato domenica 31 maggio, per poi entrare prossimamente nei circuiti di distribuzione.
Una mostra sul genocidio armeno
Una storia terribile e poco nota, persino ancora negata ufficialmente dal governo erede di quello che ne fu la causa: è il Medz Yeghern, il «Grande Male», il genocidio del popolo armeno in Anatolia perpetrato nel biennio 1915-1916. Allo sterminio di un milione e mezzo di persone, il primo sterminio scientificamente attuato nel Ventesimo secolo, è dedicata la mostra fotografica Armin T. Wegner e gli armeni in Anatolia, 1915, ospitata alla Casa della Memoria e della Storia di Roma fino al 16 maggio.
Le strade di Gerusalemme
Vincitore del primo premio al Giffoni Film Festival 2008, il film Qualcuno con cui correre mostra una Gerusalemme inedita, scevra dai cliché occidentali legati alla faticosa convivenza interreligiosa e alla questione israelo-palestinese, e invece attanagliata dai problemi tipici dei grandi centri urbani contemporanei: la devianza, la droga, il disagio giovanile. Una metropoli «normale», nei suoi guai, percorsa in lungo e in largo da personaggi ben delineati (l'impianto narrativo di Grossman è una garanzia) e riportati sullo schermo con buon linguaggio registico.
Le parole di Rachel
Ottima accoglienza per la prima italiana di Mi chiamo Rachel Corrie, lavoro teatrale che ha debuttato il 25 e 26 marzo al Piccolo Eliseo di Roma. Lo spettacolo è incentrato sulla storia di Rachel Corrie, 23enne statunitense cooperante dell'International Solidarity Movement, che nel marzo 2003 rimase uccisa nella Striscia di Gaza da un bulldozer dell'esercito israeliano mentre cercava di impedire l'abbattimento di abitazioni civili palestinesi.
La colpa e l’espiazione
The Reader, pellicola fuori concorso all'ultima Berlinale, cammina sul crinale impervio della originalità nell'approccio al tema dell'Olocausto. Al cuore del film stanno la condanna, il perdono e la memoria, in una Germania del dopo-Reich in cui le responsabilità sono talmente diffuse da coinvolgere le famiglie, gli affetti, gli amori, e dove è forte la tentazione del capro espiatorio e, peggio, dell'autoassoluzione generale. Daldry, il regista, dipana con sufficiente mestiere l'intricata matassa della narrazione.
Potenza di un Valzer
Il 9 gennaio è arrivato nelle sale cinematografiche italiane Valzer con Bashir, il film d'animazione diretto dall'israeliano Ari Folman sull'eccidio di Sabra e Chatila, avvenuto a Beirut, in Libano, nel 1982. A questa pellicola i generi stanno stretti: non è il classico cartoon, non è soltanto un film di guerra, in molti tratti assomiglia a un documentario ma non lo è. È invece un'opera potente, con attributi di assoluta originalità e di grande spessore narrativo.
Drei Liter! Va in scena la Shoah
È la storia di un nuovo Esodo verso la Terra promessa, un viaggio della speranza a bordo di un treno folle, disperato e ostinato nel suo sfuggire alla furia nazista e nel puntare verso la Terra Santa. È la vicenda di Drei Liter!, spettacolo della compagnia PonteFolle in scena al Teatro Columbus di Roma fino a sabato 6 dicembre. Il soggetto è liberamente ispirato a Train de vie, delizioso film del 1998 di Radu Mihaileanu.
Sulle strade dell’incontro
Quattro ragazzi arabi di vent'anni seguiti dall'occhio del grande fratello mentre attraversano gli Stati Uniti. È l'ultima frontiera dei reality-show americani. Si chiama On the Road in America e ripropone un tema di grande attualità: come gli americani e gli arabi possono superare le diversità, e talvolta i contrasti, tra le due rispettive culture. Un reality originale e per certi versi educativo che pone al centro il dibattito sulla storia americana, i suoi legami con Israele e le differenze con la cultura araba.
Esuli oltre la morte
Quando non si ha una patria in cui tornare, l'esilio può continuare anche dopo la morte. Per i palestinesi fuggiti all'estero dopo l'occupazione israeliana dei Territori, il sogno di essere sepolti nei villaggi in cui sono nati si ferma sulle rive del Giordano, in Libano o in Siria. Mentre chi ha scelto di ricostruirsi una vita in Vietnam o in Bulgaria riposa ora lontano da casa nella speranza che i figli riportino, un giorno, le spoglie dei padri in Palestina. La preoccupazione per il proprio luogo di sepoltura è diventata un'ossessione che Nasri Hajjaj ha scelto di raccontare nel documentario L'ombra dell'assenza.