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Bassam e gli altri che fanno la pace a Bassora

Laura Silvia Battaglia
29 marzo 2016
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Bassam e gli altri che fanno la pace a Bassora
Bassam Alwachi. (foto L.S. Battaglia)

Non tutte le esperienze di coesistenza in Medio Oriente sono destinate a fallire. Possono testimoniarlo gli abitanti di Bassora (città dell’Iraq meridionale). Il racconto del giovane caldeo Bassam Alwachi.


Non tutte le esperienze di coesistenza in Medio Oriente sono destinate a fallire. Possono testimoniarlo gli abitanti di Bassora (città dell’Iraq meridionale) dove, da almeno un anno a questa parte, la necessità della cittadinanza di ammorbidire sospetti o forme di apartheid contro le minoranze etniche e religiose ha iniziato a dare i frutti sperati.

Se ne parla in un libro appena pubblicato da Bassam Alwachi sul recupero della chiesa di Mar Toma a Bassora come bene architettonico della città vecchia e nella successiva ed effettiva operazione di restauro della struttura che sta coinvolgendo una buona parte della popolazione. Bassam Alwachi è un giovane cristiano della comunità caldea cittadina. È inoltre il rappresentante locale dell’associazione Pax, che si occupa di coesistenza religiosa nel mondo. Bassam, dopo gli avvenimenti degli ultimi due anni in Iraq e l’abbattimento da parte del sedicente Stato islamico (Isis), nelle aree di Ninive e Mosul, di luoghi di culto (tombe dei profeti sacri all’Islam, moschee sciite, sinagoghe, chiese, siti archeologici di epoca pre-cristiana) non accettati dalla tipologia di Islam di cui l’Isis si fa promotore e aggressore, ha parecchio riflettuto. «Mi son detto che dobbiamo dare un segno; che possiamo cambiare; che dobbiamo opporci a questi razzismi e a questi disastri in nome delle religioni». Probabilmente, reagire è ovvio per chi fa parte di una minoranza, ma Bassam osserva: «In Iraq non è ovvio per nulla. Chi fa parte di una minoranza fugge altrove o si nasconde. Se non fa nessuna delle due cose, sta sottotraccia ed è un cittadino di serie B. Nelle zone sciite del Paese vale anche per i sunniti. Dove invece ormai c’è l’Isis vale per tutti, tranne per chi milita nelle sue file. L’Isis vuole affermarsi come una religione a sé».

Da parte sua, Bassam ha deciso di alzare la testa, venire allo scoperto, rischiare. E gli sono andati tutti dietro. Sono giovani di Bassora e sono uomini e donne, sunniti, sciiti, caldei, sabei, assiri. Hanno aderito al progetto Citizen embassy di cui Bassam è il coordinatore e sono membri della Rete di alleanza interreligiosa contro l’estremismo (Counter Extremism Interreligious Alliance Network): «Promuoviamo progetti di cittadinanza partecipata per sostenere ogni minoranza e arginare gli estremismi». Ma l’obiettivo più importante e finale è spingere con forza l’attuazione reale dell’articolo 14 della Costituzione irachena. «Vi si dice – continua Bassam – che tutti gli iracheni sono uguali di fronte alla legge, senza alcuna differenza di genere, etnia, religione. Ma gli articoli successivi non confermano l’uguaglianza teorica e introducono il principio del settarismo. Così l’articolo, di fatto, è inattivo nella nostra società». La prima mossa per riattivarlo è stata quella di attirare l’attenzione delle autorità. «Grazie all’aiuto dell’arcivescovo caldeo di Bassora, mons. Habib Hormuz Al-Naufali (Habib Jajou), abbiamo avuto accesso alla chiesa di Mar Toma, un’architettura di fine Ottocento, oggi completamente abbandonata, e ci abbiamo girato un documentario» (con la benedizione del vescovo, Bassam ha anche pubblicato un libro sulla coesistenza religiosa). Il documentario è stato proiettato in pubblico, nella città vecchia di Bassora, un giovedì sera dell’ottobre 2015, alla presenza delle autorità locali. «Abbiamo chiesto attenzione al nostro patrimonio architettonico, in un momento in cui l’Isis vuole cancellare l’antica gloria dell’Iraq». Quella sera, in piazza, c’erano le autorità e circa 500 persone, quasi tutte giovani. Mohammad Ibrahim, soprannominato Zizi, 23 anni, era in piazza per sostenere il progetto: «Sono un membro di Pax e, dopo avere visto tante persone attaccate e uccise a Mosul e Ramadi, voglio reagire. Voglio che la gente in Iraq viva in pace. Noi siamo una élite, ma possiamo fare molto per far tornare questo Paese un bellissimo posto per tutti». Anche Zinab Waleed, che è sciita ed è una giovane traduttrice, si sente parte di un progetto importante: «Sono membro di Citizen embassy a Bassora e sono fiera di stare qui. Voglio portare avanti la difesa del patrimonio artistico e anche la diversità, le differenze, i colori che abbiamo qui a Bassora. Quel che è accaduto in Iraq è orribile ed è giusto essere attivi per migliorare le cose».

L’obiettivo finale di Bassam e dei suoi amici fuori dall’Iraq è chiedere attenzione concreta alla comunità internazionale: «Tramite la vendita del libro e del documentario, vogliamo raccogliere del denaro per restaurare la chiesa di Mar Toma, anche da fondazioni straniere o con l’aiuto della Chiesa cattolica. L’obiettivo per noi è dare un segno tangibile della coesistenza culturale, etnica e religiosa in Iraq, in un momento in cui il settarismo è imperante, i cristiani e altre minoranze vengono messe all’angolo dalla maggioranza e Isis distrugge il nostro patrimonio umano e culturale».

Come sempre, la società civile irachena, purtroppo misconosciuta, porta avanti delle saggie ragioni, assolutamente trasversali ad ogni gioco di potere. E forse per questo, poco o per niente ascoltate.

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