Unire individui ed organizzazioni pacifiste israeliane ed ebraiche della diaspora per chiedere al governo di porre fine all’occupazione dei Territori in vista del 5 giugno 2017: è questo l’ambizioso programma di “Salva Israele, ferma l’occupazione”, un nuovo movimento-ombrello che farà il suo esordio questa sera, 14 aprile, a Tel Aviv nell’ambito del Solidarity Film Festival in programma alla Cineteca cittadina.
«L’iniziativa è nata nell’estate del 2015 tra un gruppo di attivisti per la pace, docenti ed intellettuali ebrei della diaspora: dopo aver studiato per decenni perché il conflitto israelo-palestinese sia così testardamente resistente ad una soluzione pacifica, abbiamo deciso di metterci in gioco in prima persona per lavorare per un cambiamento sociale», spiega a Terrasanta.net il professor Daniel Bar-Tal, 70 anni, docente emerito di Psicologia politica all’Università di Tel Aviv ed uno dei leader del movimento Save Israel, Stop the Occupation (Siso).
Il gruppo di fondatori annovera personalità di primo piano nella storia politica, diplomatica ed accademica di Israele, fra i quali lo storico ed ambasciatore Eli Barnavi, l’accademico ed ex direttore generale del ministero degli Esteri Alon Liel, il politologo e saggista Menachem Klein. Ed ha reclutato attivisti del calibro di Jessica Montell, direttrice generale dal 2001 al 2014 dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem definita dal quotidiano Haaretz uno dei dieci più influenti immigrati britannici (in Israele) del 2011» ed entrata a pieno titolo nel 2013 a livello internazionale tra le 100 personalità che costituiscono dei chiari esempi di coloro che cercano di migliorare il mondo».
Circondato da un’aura di prestigio in ambito accademico, autore di più di venti libri e centinaia di saggi in volumi collettanei e riviste sulle dinamiche sociali dei conflitti irrisolti, sulle barriere socio-psicologiche che impediscono la pace e su come superarle, Daniel Bar-Tal si trova oggi con i colleghi a compiere lo sforzo titanico di convincere un’opinione pubblica rassegnata come quella israeliana che porre fine all’occupazione dei Territori è una necessità strategica ed economica di Israele oltre ad essere un dovere morale. «Da cinquant’anni – riflette Bar-Tal – viviamo in una realtà che genera dolore e spargimento di sangue sia fra gli ebrei che fra i palestinesi. L’occupazione della Cisgiordania, la continua espansione delle colonie e il blocco imposto alla Striscia di Gaza provocano periodici cicli di violenza, distruggono qualsiasi senso di sicurezza ed esigono un tributo economico, sociale e mentale da entrambe le parti. Il controllo di Israele sui palestinesi viola i loro diritti umani fondamentali; l’occupazione indebolisce il tessuto morale e democratico di Israele e sta creando una spaccatura interna senza precedenti».
Per questo, in vista del cinquantesimo anniversario dalla Guerra dei Sei Giorni e del centenario della Dichiarazione Balfour – entrambi anniversari per i quali si preparano celebrazioni ma che rischiano di avere un impatto simbolico devastante sull’immagine internazionale di Israele – i promotori della campagna chiedono al governo di incamminarsi sulla strada della pace e realizzare la soluzione dei due Stati, israeliano e palestinese, l’uno di fianco all’altro, oppure di garantire per il 2017 uguali diritti per tutti i residenti israeliani e palestinesi tra il Giordano e il Mediterraneo.
Il movimento si rivolge idealmente a chiunque fra ebrei e non ebrei voglia porre fine all’occupazione e creda nel diritto ad esistere dello Stato di Israele e chiede a individui e associazioni di organizzare autonomamente eventi di sensibilizzazione sull’occupazione israeliana dei Territori, sui suoi costi ed effetti, fra il 5 giugno 2016 ed il 5 giugno 2017 e, con l’aiuto di sponsor e attivisti, continuare a informare il pubblico finché l’obiettivo verrà raggiunto.
Il clima politico in Israele e la situazione regionale non sono mai stati tanto sfavorevoli ad una campagna di questo genere. Le elezioni che il 17 marzo 2015 hanno portato al potere per il quarto mandato Benjamin Netanyahu hanno confermato il profondo mutamento avvenuto nell’elettorato israeliano negli ultimi decenni, con il declino della sinistra pacifista (fino al 1992 appoggiata da circa il 40% dell’elettorato israeliano, una percentuale che oggi non supera il 18%) e l’ascesa ai vertici dello Stato di politici considerati fino a vent’anni fa degli estremisti. Bar-Tal non è certo un ingenuo, ma è convinto che oggi l’autentico amor di patria per Israele passi per un’attiva presa di posizione: «La politica del governo sugli insediamenti – dice – viola non solo il diritto internazionale ma anche le leggi israeliane, destabilizzando così le fondamenta democratiche sulle quali sono basate. Se questa tendenza non viene bloccata in fretta, la situazione diverrà irreversibile e vedremo presto l’emersione di un stato bi-nazionale de facto contraddistinto dall’apartheid, all’interno del quale una popolazione ebraica dominerà l’intera popolazione palestinese residente fra il Mediterraneo e il fiume Giordano».
Il gruppo si è dato perciò due macro obiettivi: «Il primo – spiega Bar-Tal – è quello di mobilitare quell’ampia parte dell’elettorato israeliano che finora non si è espressa contro l’occupazione, presentando l’essenza dell’occupazione israeliana ed i costi che la società israeliana paga da cinquant’anni per la sua continuazione; il secondo è quello di far presente sia al governo che alla comunità internazionale che esiste un’ampia parte di ebrei israeliani e della diaspora che si oppone alla continuazione dell’occupazione».
Il movimento, che ha già ottenuto l’adesione della maggior parte delle organizzazioni che compongono il Forum delle Ong pacifiste (circa 30 organizzazioni) e di altre organizzazioni israeliane, sta cercando il sostegno di personalità del mondo dello spettacolo, della scienza e della cultura note a livello internazionale e di organizzazioni chiave del mondo progressista ebraico come la statunitense JStreet, la britannica Yachad, i comitati europei di JCall e altre.
Il movimento Siso, aggiunge Bar-Tal, si batte per amplificare il più possibile le voci di tutti coloro che si oppongono all’occupazione e cercano di porvi fine poiché quelle voci non sono state più udite dall’assassinio di Ytzhak Rabin nel 1995. Interamente autofinanziato finora dai suoi sostenitori, il movimento è in cerca di attivisti e filantropi che finanzino i suoi sforzi di sensibilizzazione dell’opinione pubblica israeliana ed estera.