Israele ha celebrato il 5 giugno scorso la Giornata di Gerusalemme, che esalta la «riunificazione» della città nel giugno 1967 sotto il controllo dello Stato ebraico. Al di là degli scontri ideologici e delle rievocazioni storiche, il Jerusalem Day è però anche un'ottima occasione per guardare a che cos'è la Gerusalemme concreta di oggi.
Nei giorni scorsi Israele ha celebrato la Giornata di Gerusalemme, istituita dopo la Guerra dei Sei giorni per dare risalto all’anniversario della «riunificazione» della città nel giugno 1967. Giornata sempre ad alta tensione che quest’anno ha guardato già al 2017, quando ricorreranno i cinquant’anni da questa pagina di storia che tuttora divide gli animi.
Al di là degli scontri ideologici e delle rievocazioni storiche, il Jerusalem Day è però anche un’ottima occasione per guardare a che cos’è la Gerusalemme concreta di oggi. Lo ricordava quest’anno anche il presidente israeliano Reuven Rivlin, con una citazione molto bella: «C’è la Gerusalemme celeste e la Gerusalemme terrena – ha detto nel suo discorso ufficiale -, ma come diceva il mio maestro, il poeta Yehuda Amichai, c’è anche una “Gerusalemme che sta nel mezzo”, nella quale spirito e materia si incontrano e creano una vera e propria base per la convivenza religiosa, nazionale e sociale».
Ecco: qual è oggi la fisionomia della Gerusalemme che sta nel mezzo? Alcuni indizi per tracciare il suo profilo li ha offerti, come ogni anno, l’Ufficio centrale di statistica israeliano, con i dati diffusi in occasione della Giornata. Scopriamo così che oggi la città conta 870 mila abitanti, cioè più o meno il 10 per cento della popolazione di Israele. Questi abitanti sono per la maggior parte ebrei o comunque non arabi – 534 mila (il 63 per cento). Gli arabi sono comunque 316 mila, pari al 37 per cento e si tratta di un valore in crescita.
Prima osservazione: il fatto che nelle statistiche ufficiali su Gerusalemme non venga proposto il dato preciso su quanti siano i suoi abitanti che non sono né arabi né ebrei, illustra già da solo quanto il tema dell’«equilibrio demografico» sia una questione calda. Il dato ufficiale nazionale dice che gli altri (cioè quelli che non sono ebrei, ma neanche arabi: cittadini stranieri, immigrati, bahai eccetera) in Israele sono circa il 4,4 per cento della popolazione. È difficile pensare che a Gerusalemme questa percentuale possa essere di molto inferiore. Il che significa che già oggi, probabilmente, gli ebrei sono sotto il 60 per cento degli abitanti veri di Gerusalemme.
Altro dato interessante: la popolazione complessiva è cresciuta nell’ultimo anno di 20 mila unità. Questa crescita è stata resa possibile sostanzialmente dal saldo positivo delle nascite rispetto alle morti, dal momento che i dati tra i nuovi immigrati e quanti hanno lasciato Gerusalemme sostanzialmente si equivalgono. È un fatto che non stupisce: la Città Santa resta un luogo dal tasso record di natalità: 3,91 figli per donna, contro il 3,08 della media nazionale israeliana. Un dato alimentato tanto dalle famiglie ultra-ortodosse, quanto da quelle arabe.
Proprio qui, però, si inserisce anche una serie di altri dati molto interessanti rilanciati da un articolo del quotidiano Yediot Ahronot che vuole dimostrare una tesi controcorrente: Gerusalemme è sì unita, come afferma la retorica ufficiale; ma più dalla vita concreta della città che dai proclami dei politici. È unita perché, ad esempio, il 69 per cento degli operai che lavorano nei cantieri edili dell’ebraica Gerusalemme Ovest sono arabi che abitano a Gerusalemme Est. Ed è unita perché la povertà crescente rende tra loro molto più vicini di quanto sembri i quartieri ultra-ortodossi e quelli arabi.
«La maggioranza della popolazione di Gerusalemme, circa il 56 per cento, è composta dalla somma di ultra-ortodossi e arabi – spiega Merrick Stern, un ricercatore dell’Istituto di Gerusalemme per gli studi israeliani. In larga misura il futuro socio-economico della città è nelle mani delle due fasce più impoverite della popolazione. Un intervento deciso per ridurre i livelli di povertà e promuovere l’integrazione lavorativa di arabi e ultra-ortodossi è necessario per il miglioramento della capitale dello Stato di Israele. Senza questo intervento la sua situazione potrebbe diventare molto problematica nei prossimi decenni».
Parla del futuro della «capitale di Israele» il ricercatore. Ma ne parla guardando comunque agli arabi, oltre che agli ultra-ortodossi. Saranno i poveri – un giorno – a «riunificare» per davvero la Gerusalemme che sta nel mezzo?
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Clicca qui per leggere l’articolo di Yediot Ahronot
Perché “La Porta di Jaffa”
A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.