«Sono passati quindici anni dall’ultimo viaggio di un Papa in Armenia: l’itinerario che seguirà papa Francesco è molto simile a quello della visita di papa Giovanni Paolo II nel 2001. Ciò che è cambiato profondamente, però, è il fatto che oggi la comunità cattolica si è organizzata ed è cresciuta, mentre allora si era appena usciti dal periodo sovietico…».
Monsignor Claudio Gugerotti, oggi rappresentante pontificio in Ucraina, è stato nunzio apostolico in Armenia, Georgia ed Azerbaijian dal 2002 al 2011. Grande conoscitore della realtà armena, quando nel 2001 san Giovanni Paolo II compì il suo pellegrinaggio in Armenia per ricordare i 1.700 anni della conversione al cristianesimo, mons. Gugerotti lo accompagnò. Gli abbiamo chiesto come è cambiata l’Armenia in questi anni e cosa si aspettano i cattolici armeni da papa Francesco.
«Giovanni Paolo II andò in Armenia a pochi anni dalla caduta del regime comunista, in un contesto che conosceva molto bene. Adesso papa Francesco arriva in un momento in cui l’Unione Sovietica è ormai un ricordo. Il Paese oggi deve affrontare però altre grandi sfide: la forte povertà, la consistente emigrazione e l’estenuante questione della guerra nel Nagorno-Karabakh… però tutto sommato lo spirito ecumenico è rimasto lo stesso del 2001. La Chiesa Armena apostolica è storicamente la più aperta tra le Chiese orientali non cattoliche nei confronti della Chiesa cattolica. Ci sono molti episodi che lo confermano».
Ad esempio?
Quando è morto Giovanni Paolo II ed io ero nunzio, il Catholicos, come chiamano il patriarca armeno apostolico, e mi disse: «Vuole che la celebrazione per la morte di Giovanni Paolo II la facciamo insieme in cattedrale?». Così celebrò una messa nella cattedrale armeno apostolica di Etchmiadzin alla quale mi invitò. Al termine della messa abbiamo fatto insieme l’ufficio per i defunti. Poi ha invitato tutto il corpo diplomatico in Armenia, ricevendo le condoglianze da parte di tutti assiso sul seggio patriarcale; io ero seduto di fianco a lui; e ciascun membro del corpo diplomatico dopo avere fatto le condoglianze per la morte del Papa cattolico a lui, patriarca non cattolico, veniva da me che ero il nunzio.
Il viaggio di Papa Francesco conferma una grande amicizia.
Esatto. Un’amicizia fortissima e antica. Quando Kerekin II, Catholicos della Chiesa apostolica armena, invitò Giovanni Paolo II in Armenia, fece una cosa che finora non ha fatto nessun patriarca ortodosso: il Catholicos ospitò il Papa per tutta la durate del viaggio nella sua casa, per diversi giorni, e quando arrivò il Papa fece armi e bagagli e andò a vivere in un’altra stanza della sua residenza, lasciando la sua all’ospite. Mi ricordo che il Catholicos entrò nella stanza del Papa e rimase commosso nel vedere il Papa che leggeva il breviario con la finestra aperta e lo sguardo rivolto al monte Ararat. Ora anche Francesco andrà ad abitare nella stessa casa, ospitato dallo stesso Karekin II.
Nel 2015 Papa Francesco ha parlato di genocidio armeno suscitando forti reazioni politiche. Ci sono gesti o parole che gli armeni si aspettano da lui?
Gli armeni stravedono per Francesco, proprio per la posizione che lui prese in San Pietro nel 2015. E in quella occasione dichiarò dottore della Chiesa uno dei santi più famosi del Medio Evo armeno, san Gregorio di Narek. Lo ha fatto alla presenza del Catholicos della Chiesa apostolica che ha ascoltato la proclamazione di dottore della Chiesa universale, che di per sé è una cosa cattolica… Il Papa torna da amicissimo e gli armeni si aspettano solo di poterlo ringraziare. Sarà una cosa molto affettuosa e molto calda.
L’identità cristiana del popolo armeno è ancora profonda o la modernità ha portato come conseguenza anche la tiepidezza della fede?
Bisogna considerare che quella armena è la prima Chiesa nazionale; cioè è il primo caso al mondo di nazione che si dichiara in quanto tale cristiana, prima dell’editto di Costantino; è una delle cristianità più antiche ed è una delle cristianità più perseguitate… da qui si è generata una grandissima diaspora, la maggioranza degli armeni vive fuori dalla repubblica di Armenia. Oggi soprattutto negli Stati Uniti, in Francia, in Australia, in Canada. Nonostante la diaspora esiste un senso delle radici culturali molto forte e la religione fa parte di queste radici. Che non significa per forza una fede molto articolata in termini pastorali e catechetici. Però la loro è un’appartenenza atavica al cristianesimo. Hanno un profondo senso del martirio. Sono il Popolo dei martiri cristiani e si sentono così.
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Leggi qui la seconda parte del colloquio col nunzio Gugerotti