Molti, in questi giorni, hanno citato Israele come pietra di paragone per l'Europa minacciata dal terrorismo dei «lupi solitari». Ma cosa ci dice veramente l'esperienza di Israele? E fino a che punto i diritti umani possono essere messi in un angolo?
Di fronte agli attentati di questi giorni in molti hanno citato come pietra di paragone Israele. Un camion scagliato sulla folla a Nizza da un jihadista da poco radicalizzato? Un attacco con un’ascia compiuto da un diciassettenne contro i passeggeri di un treno in Germania? Vuol dire che l’Europa in questa estate 2016 è diventata ormai come Gerusalemme o Tel Aviv. Con l’azione dei cosiddetti «lupi solitari» le stesse forme che il terrorismo assume stanno diventando tremendamente simili a quelle della cosiddetta «intifada dei coltelli», che da quasi un anno insanguina la Terra Santa.
C’è dunque evidentemente del vero in questo accostamento. Quello che però oggi secondo me occorrerebbe fare è un passo ulteriore e chiedersi: che cosa ci dice l’esperienza di Israele su come fronteggiare questo tipo di eventi? Molti di coloro che citano questa similitudine guardano ai sistemi di sicurezza messi in atto a Gerusalemme come al modello da seguire. Chiunque sia stato in Terra Santa li conosce molto bene: dai controlli molto rigorosi ai check-point, ai metal detector installati pressoché ovunque, per non parlare dei famigerati muri e persino della presenza di civili armati nelle strade. Non sorprende, poi, che ci sia anche chi coglie l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa: «Vedete? – dicono in sostanza – voi che criticavate Israele per le sue misure dure contro il terrorismo palestinese, provate a rispondere adesso che il problema tocca anche voi? Siete ancora disposti a fare tante storie sulla questione dei diritti umani?»
Si potrebbe discutere a lungo sulla questione dell’efficacia di queste misure: il fatto che proprio l’esercito e gli apparati della sicurezza oggi in Israele siano gli ambienti che maggiormente invocano soluzioni politiche al conflitto con i palestinesi credo voglia dire qualcosa. Ma ascoltando queste domande a me veniva in mente soprattutto un brano di una sentenza pronunciata nel 1994 a Gerusalemme dall’Alta Corte di giustizia israeliana. Sono andato a ricercare la parte finale del giudizio con il quale la Corte accoglieva il ricorso presentato da alcune associazioni per i diritti umani decretando l’inammissibilità della pratica della tortura in Israele. Recitava così: «Siamo consapevoli che questa decisione non renderà più facile affrontare il problema della sicurezza. È il destino di una democrazia – essa non considera ogni mezzo accettabile e non trova aperte tutte le strade utilizzate dai propri nemici. Una democrazia deve talvolta combattere con un braccio legato dietro la schiena. Eppure, anche così, una democrazia ha sempre la mano migliore. Il rispetto del diritto e delle libertà individuali costituiscono un importante aspetto della sua sicurezza. In fin dei conti sono queste caratteristiche a rafforzare il suo spirito e questa forza è ciò che le permette di superare tutte le difficoltà».
Si può discutere – evidentemente – su quanto lo spirito di questa sentenza sia stato poi rispettato in questi vent’anni in Israele. E ho seri dubbi sul fatto che l’attuale Alta Corte di giustizia israeliana avrebbe il coraggio di scrivere ancora parole del genere. Eppure quel testo resta e forse varrebbe la pena di rileggerlo soprattutto in Italia, dove proprio in questi giorni il Parlamento ha ancora rinviato la discussione sull’introduzione del reato di tortura adducendo come motivazione proprio l’efficacia nella lotta al terrorismo.
Sono valori che restano comunque radicati nel cuore di tanti in Israele. Lo ha dimostrato recentemente – ad esempio – l’associazione Rabbis for Human Rights, che lo scorso 13 luglio, dopo altre giornate pesantissime in Terra Santa, ha diffuso una sua «Dichiarazione di principio su diritti umani e terrore». «Come ebrei e come rabbini – vi si legge – comprendiamo che i diritti umani sono indivisibili. Dio ha creato tutti a sua immagine e così ci ha donato a tutti i diritti fondamentali che discendono dal nostro essere immagine di Dio stesso. Per questa ragione ogni uccisione che non sia strettamente legata alla legittima difesa – sia che avvenga per mano dei governi o di gruppi terroristici – è un atto di ribellione contro Dio».
Quella dichiarazione si conclude con un frase di rabbi Hillel, uno dei maggiori maestri della tradizione ebraica: «Là dove nessuno si comporta come un essere pienamente umano, lottate per essere voi umani». Credo sia un grande programma anche per l’Europa di questa tragica estate 2016.
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Clicca qui per leggere la dichiarazione dei Rabbini per i diritti umani
Perché “La Porta di Jaffa”
A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.