Nel disastro silente della guerra in Yemen, a pagarne le più alte conseguenze sono le donne e i bambini. Il dato non emerge in termini quantitativi, se si guarda alle stime del Centro legale per i diritti e lo sviluppo, una ong locale che tiene scrupolosamente il conto del disastro inflitto dalla guerra al Paese dal marzo 2015: in totale, su 9.136 morti, 1.654 vittime civili sarebbero donne e 2.211 i bambini. Sul numero totale dei feriti (16.690) le stime crescono: 1.714 le donne, 1.980 i bambini. Se si entra, però, nel dettaglio delle condizioni di vita della parte debole della società e si considera che 630 scuole e 250 ospedali sono stati bombardati, si intuisce facilmente attraverso quali servizi mancati crescano mortalità, malattie e disagi psicologici.
Sul piano sanitario, i medici yemeniti denunciano un aumento di aborti, di feti malformati alla nascita o di malformazioni gravissime sui bambini appena nati. Le testimonianze del direttore e dei sanitari, raccolte all’ospedale al-Sabeen, specializzato in ginecologia e ostetricia, dal corrispondente locale di Deutche Welle, riferiscono un aumento esponenziale negli ultimi quattro mesi di casi di questo genere, con bambini nati senza testa o senza ossa o privi di articolazioni muscolari. Anche il personale dell’ospedale al-Rahma, a nord della capitale Sana’a, conferma e sottolinea che moltissime donne non riescono a concludere la gravidanza a causa delle loro condizioni di grave malnutrizione. Alla preoccupazione che questo aumento di malformazioni fetali possa essere dovuto all’inquinamento da polveri tossiche o materiali radioattivi che scaturiscono dall’uso di bombe e artiglieria nelle zone interessate al conflitto e che il docente di chimica Ahmed al-Haidari è intenzionato ad investigare, rispetto all’area di Taiz, la più colpita dal conflitto, si aggiungono gli effetti sociali che la guerra ha portato sullo status di bambini e adolescenti nelle aree più povere del Paese.
Lavoro minorile, reclutamento di bambini-soldato, matrimoni precoci e traffico di minori rischiano di essere più frequenti di prima, come testimonia un caso esemplare raccontato dal Washington Post. Fayruz Ahmed Haider, intercettata in una tenda di un campo profughi a Khamer, sette giorni dopo il suo matrimonio, era stata data in sposa, a 11 anni, a un uomo di 25. L’unica ragione è stata la necessità, da parte della famiglia, di darla in sposa nella prima pubertà per ottenere il denaro necessario a una trasfusione di sangue per salvare la madre, vittima di un bombardamento della coalizione nella martoriata città di Sadaa. Il padre, come testimoniato da Ahmad al-Qurashi, presidente dell’associazione Seyaj che si occupa di bambini prede del traffico di esseri umani o venduti dalle famiglie in una vasta area che va da Haradth ad Hajja, ha pensato che l’unico modo per procurarsi questo denaro era cedere in sposa la prima figlia che aveva già superato la pubertà, ottenendo così i soldi della dote. «Purtroppo – testimonia al-Qurashi, raggiunto telefonicamente da Terrasanta.net nella sede della sua associazione ad Haradth – è possibile provvedere alla protezione temporanea della bambina in base alla volontà da lei espressa ma non portare avanti un processo nei confronti della famiglia».
In Yemen, una proposta di legge che stabiliva l’età minima del matrimonio a 18 anni era stata presentata il 27 aprile 2014 dal ministro della Giustizia Mohammad Makhlafi al primo ministro Mohammad Basindawa e nel gennaio del 2015 inserita come articolo della nuova Costituzione, in attesa del già annunciato decreto del presidente della repubblica. Ma il colpo di Stato delle milizie Houthi, che si erano già espresse negativamente nella Conferenza di dialogo nazionale sulla conformità della legge all’interpretazione della giurisprudenza sciita jafari della sharia, e il conflitto successivo, non hanno permesso la ratifica del testo di legge. Così, allo stato attuale, il Paese non ha ancora una legge che regoli l’accesso al matrimonio e la guerra può rendere questa piaga sociale solo più frequente e grave.