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Il Dna di Ariche getta luce sui Fenici

Eleonora Prandi
6 ottobre 2016
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Il Dna di Ariche getta luce sui Fenici
Una ricostruzione dei tratti somatici di Ariche.

Interessanti scoperte dal Dna di Ariche, un fenicio vissuto a Cartagine 2.500 anni fa, la cui tomba era stata scoperta nel 1994 nei pressi di Byrsa, non lontano da Tunisi.


È stato mappato per la prima volta il Dna di un antico fenicio vissuto a Cartagine 2.500 anni fa. Un gruppo di ricerca composto da scienziati dell’Università di Ontago (che ha sede a Dunedin in Nuova Zelanda) diretto dalla professoressa Lisa Matisoo-Smith e dallo studioso libanese Pierre Zalloua, ha sequenziato il genoma del cosiddetto «Giovinetto di Byrsa» o «Ariche», la cui tomba era stata scoperta nel 1994 nei pressi dell’omonima collina Byrsa, non lontana da Tunisi.

I risultati delle analisi effettuate sui resti e pubblicate sul giornale scientifico digitale Plos One, hanno condotto una scoperta sorprendente: l’uomo, possedeva un corredo genetico facente parte di uno dei più antichi ceppi presenti in Europa che viene associato a popolazioni che si dedicavano alla caccia e al raccolto, tra cui si riconoscono i Fenici. Questi dati genetici oggi sono trovati a livelli inferiori all’uno per cento. Ancor più interessante, spiega la professoressa Matisoo-Smith, il fatto che il genoma individuato, confrontato con altri 47 codici genetici di libanesi contemporanei, non ha trovato nessun riscontro ma che, invece, questa particolare sequenza si avvicina particolarmente a quella di un portoghese moderno o di un abitante della Spagna meridionale.

Quest’ultima scoperta, in particolare, attribuisce maggior rilievo alla ricerca e sottolinea come i Fenici fossero strettamente legati al Mediterraneo, con un’espansione che si diramò in ogni direzione nel Mare Nostrum. Gli studiosi neozelandesi hanno giustificato questa identificazione con il genoma iberico dicendo che «mentre un’ondata di popoli agricoli dal Vicino Oriente sostituiva questi cacciatori-raccoglitori, alcuni dei loro lignaggi potrebbero aver persistito maggiormente nell’estremo sud della penisola iberica».

Lisa Matisoo-Smith inoltre ha ricordato come la cultura dei fenici e le loro reti commerciali abbiano avuto un impatto fondamentale per lo sviluppo delle culture successive, basti pensare all’immenso debito che la popolazione europea ha nei confronti di questo popolo a cui dobbiamo l’invenzione delle lettere dell’alfabeto e della scrittura che andava a soppiantare lo scomodo sistema egizio dei geroglifici.

Tuttavia dei Fenici la Storia conosce ancora ben poco, se si escludono i resoconti romani e greci con i quali i Punici (nome con il quale i romani identificavano i fondatori di Cartagine, Fenici, secondo la tradizione) ebbero sempre scontri, basti pensare alle celebri guerre puniche. La speranza, perciò, è che questa tipologia di studio – che, come spiega Zalloua, fa parte di un progetto di ricerca più ampio sui vari resti fenici – aiuti a comprendere meglio le origini e l’impatto che i Fenici e la loro cultura ebbero in tutta la regione del Mediterraneo. L’auspicio è inoltre che queste scoperte aiutino a meglio ricostruire le tratte delle antiche migrazioni delle popolazioni nomadi che ebbero rapporti con i Fenici e come questi contatti tra differenti etnie abbiano modificato il Dna fino a formare i popoli che oggigiorno si affacciano sul Mediterraneo.

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