Al Cairo l’ira dei giovani copti contro il governo
Domenica 11 dicembre, la comunità copta è stata colpita da un nuovo terribile attentato alla sede centrale del patriarcato copto. L'attacco ha scatenato ancora una volta la rabbia di chi non si sente tutelato.
Domenica 11 dicembre, la comunità copta è stata colpita da un nuovo terribile attentato che ha riportato alla memoria quello del Capodanno 2011, nella chiesa al-Qiddisin di Alessandria. Durante la messa mattutina, una persona carica di tritolo si è infiltrata fra i banchi della zona riservata a donne e bambini, nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo al Cairo, e si è fatta esplodere. Una donna, hanno detto le prime testimonianze. Un affiliato dello Stato Islamico, secondo le autorità e un comunicato rilasciato giorni dopo dalla stessa formazione terroristica. Le vittime sono state 26 – ancor più di quelle dell’attentato del 2011 – i feriti una cinquantina.
La chiesa attaccata è adiacente alla Cattedrale di San Marco, la sede centrale del patriarcato copto. Forse era quest’ultimo il vero obiettivo, ma essendo troppo protetto, i terroristi hanno ripiegato sul luogo di culto attiguo, bersaglio più abbordabile che, comunque, permetteva di preservare la simbolicità del gesto: un attacco al cuore della cristianità egiziana. L’11 dicembre, tuttavia, era anche l’anniversario della nascita del profeta Muhammad, una festa islamica molto popolare, ma contestata dagli oltranzisti religiosi appartenenti alla galassia salafita che vedono in essa una pratica idolatrica, in contrasto con la pura dottrina monoteistica. Dunque, l’attentato ai copti conteneva anche un messaggio per la comunità musulmana che respinge l’estremismo islamico. Due giorni prima, di venerdì, giorno santo per i musulmani, era stato sferrato un altro attentato contro le forze di sicurezza nell’area delle piramidi, uccidendo sei poliziotti.
I jihadisti giocano con i simboli, oltre che con le vite delle persone. Mirano a seminare l’odio settario, a dividere, a spezzare il tessuto che lega da secoli comunità diverse, a ricavarsi, con la violenza, spazi di potere dove infiltrarsi. Per questo, il presidente Abdel Fattah el-Sisi ha risposto giocando a sua volta con i simboli. In solidarietà con i copti, ha annullato le celebrazioni previste per l’anniversario della nascita del Profeta, ha proclamato tre giorni di lutto nazionale e ha indetto funerali di Stato per le vittime dell’attentato. Il messaggio sottinteso è: «Avete colpito tutto l’Egitto, inclusa la popolazione musulmana, non solo la comunità copta, e l’Egitto vi respinge compatto».
Questa reazione simbolicamente forte potrebbe tuttavia non bastare a calmare l’ira dei copti. Il giorno dell’attentato si è assistito al traboccare di quest’ira, senza più inibizioni e paure. Non contro i terroristi o gli islamisti, ma contro i rappresentanti dello Stato. Poco dopo la detonazione, nella confusione generale, attorno alla chiesa colpita sono accorse centinaia di persone, alcune in cerca dei parenti, altre pronte a dar soccorso. Sono giunte anche le forze di sicurezza e le autorità, come il ministro dell’Interno. A questo punto, però, decine e decine di ragazzi copti, tutti giovanissimi, si sono ribellati. Hanno impedito al ministro di visitare la chiesa, urlando tutta la loro rabbia. «Abbasso il regime! Abbasso il regime!» – gridavano con i pugni alzati. Le tivù di Stato, appena hanno sentito e compreso quel che stava succedendo, hanno immediatamente tolto l’audio alle immagini. Tre rappresentanti di queste emittenti, le «bocche del regime», hanno subito sorte ancora peggiore del ministro dell’Interno. Ahmed Moussa, Riham Saeed e Lamis al-Hadidy sono stati circondati da giovani inferociti e cacciati in malo modo.
Altri attivisti copti non hanno apprezzato i funerali di Stato, perché ciò ha significato, per molti, non poter partecipare, essendo la lista degli “invitati” rigidamente chiusa e decisa dalle autorità e dalla dirigenza ecclesiastica. Si è così organizzata una veglia alternativa, in ricordo delle vittime, due giorni dopo, ma anche in questo caso la partecipazione non è stata facile, data la presenza delle forze di sicurezza che filtravano l’accesso.
L’ira dei giovani copti contro lo Stato non è nuova. In passato, è scoppiata molte volte, per esempio dopo il massacro di Nag Hammadi, nel gennaio 2010; dopo l’attentato alla chiesa di Alessandria, la sera di Capodanno del 2011, e dopo la strage del Maspero nell’ottobre 2011. Questa rabbia, tuttavia, non ha mai ricevuto risposte efficaci e ora si è di nuovo raggiunto il limite della sopportazione. La retorica ufficiale dello Stato sull’unità nazionale di cristiani e musulmani non basta più a molti giovani copti. Lo spauracchio degli islamisti non è più sufficiente, per loro, a comprendere e giustificare il sostegno incondizionato della gerarchia ecclesiastica a un regime che non è in grado di proteggerli, né di render loro giustizia. A tutt’oggi, nessun colpevole è stato identificato per l’attentato di Capodanno 2011 alla chiesa di Alessandria e la responsabilità dell’esercito per il massacro del Maspero è stata annacquata nella memoria storica del Paese. Questa mancanza di giustizia sta oggi nutrendo un grande e pericoloso bacino di rabbia fra la gioventù copta. Una rabbia che va ad aggiungersi a molte altre nel Paese.
Perché “Kushari”
Il kushari è un piatto squisitamente egiziano. Mescolando ingredienti apparentemente inconciliabili fra loro, in un amalgama improbabile fatto di pasta, riso, lenticchie, hummus, pomodoro, aglio, cipolla e spezie, pare sfuggire a qualsiasi logica culinaria. Eppure, se cucinati da mani esperte, gli ingredienti si fondono armoniosamente in una pietanza deliziosa dal sapore unico nel mondo arabo. Quale miglior metafora per l’Egitto di oggi? Un Egitto in rivoluzione che tenta di fondere mille anime, antiche e recenti, in una nuova identità, che alcuni vorrebbero monolitica e altri multicolore. Mille anime che potrebbero idealmente unirsi, come gli ingredienti del kushari, per dar vita a un sapore unico e squisito, o che potrebbero annientarsi fra acute discordanze. Un Egitto in cammino che è impossibile cogliere da una sola angolatura. È questo l’Egitto che si tenterà di raccontare in questo blog.