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Gli ahmadi di Haifa e il buon vicinato

Federica Sasso
26 aprile 2018
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Sulle pendici del Monte Carmelo vive dal 1924 una piccola comunità di musulmani ahmadi. «Amore per tutti, odio per nessuno» è il suo motto. Un principio che illumina anche la lettura del Corano.


Il quartiere Kababir, a Haifa, potrebbe essere utilizzato per pubblicizzare lo spirito di convivenza della città israeliana. In questa zona residenziale situata nel verde del Monte Carmelo infatti la popolazione ebraica è una minoranza, ben “accolta” dalla maggioranza dei residenti musulmani che si identificano come ahmadi. Gli israeliani in realtà sanno poco della Comunità musulmana ahmadiyya, un movimento che rappresenta una componente minuscola del mondo musulmano, circa l’1 per cento, vale a dire qualche decina di milioni di seguaci, sparsi in oltre 200 Paesi. Dal 1924 gli ahmadi sono presenti anche in Israele, con una comunità che conta all’incirca 2.200 fedeli localizzati per lo più a Kababir, dove gli adulti vivono secondo il motto «amore per tutti, odio per nessuno» e i bambini studiano in classi miste assieme ad alunni ebrei e cristiani.

Il movimento Ahmadiyya è stato fondato in India nel 1889 da Mizra Ghulam Ahmad, uno studioso islamico che si autoproclamò “messia”, affermando di esser stato mandato in terra per proseguire la missione di Gesù, come profetizzato da Maometto. Secondo l’emiro Mohammad Sharif Odeh, che guida la comunità in Israele, Ahmad è venuto per correggere le interpretazioni sbagliate del Corano e riaffermare l’islam come una religione di pace che vieta la guerra se non a scopo di difesa. «Il vero jihad è quello per sconfiggere il male dentro di noi», ha spiegato Odeh durante un incontro a centro Ahmadi di Kababir. Secondo Odeh «il problema sono le interpretazioni», che nel corso dei secoli hanno preso il sopravvento sul messaggio coranico. L’emiro ha spiegato che gli ahmadi credono in tutti i profeti e in tutti i libri delle varie tradizioni religiose, e che secondo l’insegnamento del “messia” Ahmad, lo stesso Dio che ha parlato in passato continua a comunicare con i credenti.

Per gli ahmadi infatti il Corano è il libro definitivo, ma l’ispirazione non si è interrotta. «Perché Dio non dovrebbe parlare con noi anche oggi?», chiede provocatoriamente Odeh.

La comunità ahmadiyya è guidata a livello mondiale dal quinto califfo Mirza Masroor Ahmad che vive a Londra a causa delle persecuzioni sperimentate dal movimento in diversi Paesi asiatici, mediorientali e nordafricani. In Algeria, per esempio, le moschee della comunità ahmadiyya non possono innalzare un minareto, e in Pakistan i fedeli non possono utilizzare simboli religiosi o perfino salutarsi con l’espressione Salam aleikhum. Nonostante affermi che ci sono ancora «molti passi da fare» riguardo alla condizione degli arabi in Israele, l’emiro Odeh ammette che lì la comunità gode della piena libertà di culto.

A Haifa gli ahmadi sono molto attivi nelle attività sociali: si autotassano per sostenere i poveri a prescindere dall’appartenenza religiosa, e sono stati sempre aperti ad altre fedi e comunità etniche, al punto che il sindaco della città, Yona Yahav, li definisce «arabi riformati». Nel nome del dialogo, infatti, la comunità ha aperto le porte a personalità religiose e politiche di ogni schieramento. Ci sono fotografie che ritraggono il parlamentare del Likud Yehuda Glick mentre è in raccoglimento all’interno della moschea di pietra, fulcro nevralgico della realtà ahmadiyya, e nel 1987 la comunità ha tradotto brani del Corano in yiddish per consentire ai propri vicini di conoscere la fonte originale.

«L’islam è la soluzione ai problemi solo se vedo l’altro come un mio pari. Se credo che quello che meriti tu vale tanto quello che merito io», afferma l’emiro Odeh spiegando ulteriormente che l’Islam propone un messaggio di cura dell’altro e di pace. Ma alle posizioni aperte e dialoganti, l’emiro Mohammad Sharif Odeh unisce un pragmatismo che gli consente di guidare la sua comunità nella complessa realtà israelo-palestinese. Nonostante l’integrazione sperimentata a Haifa, gli ahmadi restano in una posizione delicata: discriminati in quanto arabi dalla maggioranza degli israeliani ebrei e condannati, al pari di una setta, dagli altri musulmani.

 


 

Perché S(h)uq 

Suq/Shuq. Due lingue – arabo ed ebraico – e praticamente una parola sola per dire “mercato”. Per molti aspetti la vita in Israele/Palestina è fatta di separazioni ed attriti, e negli ultimi anni è cresciuta la distanza fra la popolazione araba ed ebraica. Ma il quotidiano è fluido e anche sorprendente. Come a Gerusalemme i dettagli architettonici di stili diversi convivono da sempre uno vicino all’altro, anche le persone in questa terra non smettono mai di condividere del tutto. E il mercato è uno dei luoghi in cui questo è più evidente. Ebrei, musulmani, stranieri, immigrati, pellegrini. Ci si ritrova lì: per comprare, mangiare, vendere, ballare, e anche pregare. Questo blog vuole essere uno spazio in cui incrociare le storie, persone e iniziative che possono aiutarci a cogliere qualcosa in più su come va la vita da queste parti, al di là della politica e della paura.

  

Federica Sasso è una giornalista e vive a Gerusalemme. La sua prima redazione è stata il Diario della Settimanapoi da New York ha collaborato con testate come Il Secolo XIXl’EspressoAltreconomia e con la Radio della Svizzera Italiana. Da Gerusalemme scrive per media italiani e produce audio reportages per la radio tedesca Deutsche Welle. Per Detour.com ha co-prodotto documentari sonori che consentono di esplorare Roma accompagnati dalle voci di chi la conosce bene.

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