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Rapporto Pax: Damasco altera la fisionomia di Homs

Ilaria Sesana
1 marzo 2017
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Rapporto Pax: Damasco altera la fisionomia di Homs
Uno scorcio di Homs devastata dalla guerra.

Secondo un recente rapporto curato dall’associazione olandese Pax, in collaborazione con The Syria Institute, il governo di Damasco starebbe ridisegnando gli equilibri demografici di Homs, la terza città del Paese.


«Certo che tornerei a casa, ma è impossibile. Se il regime cadesse, potremmo anche pensare di ritornare. Ma la mia casa è stata distrutta». Abdullah è uno delle decine di migliaia di abitanti di Homs costretti a lasciare la propria città. Anche Rami vorrebbe tornare a casa, nel quartiere di Zahraa, ma è pessimista: «Non c’è possibilità di ritorno, è impossibile. Vorrei tornare a Homs ma non nella città in cui l’hanno trasformata».

Prima della guerra, Homs era la terza città più grande della Siria, con una popolazione compresa tra gli 800 mila e il milione e 300 mila abitanti. Una bella città, ricca e viva, dove persone di fede diversa vivevano in armonia e nel reciproco rispetto. «I nostri vicini erano alawiti e cristiani e tutto andava bene. Non abbiamo mai visto differenze tra noi, i cristiani e gli armeni: festeggiavamo insieme e piangevamo insieme nei momenti di lutto – spiega Ibrahim, un giovane sfollato -. Quando noi digiunavamo, durante il Ramadan, i cristiani e gli alawiti non mangiavano davanti a noi per rispetto. Celebravamo la festa del Nairouz con i curdi e il Natale con i cristiani. E lo facevamo in maniera sincera».

Tutto questo è stato spazzato via dalla guerra. Homs e la sua ricchezza sono state distrutte da una precisa politica del governo di Damasco con un chiaro obiettivo: alterare gli equilibri demografici della popolazione, per consolidare la base del proprio potere. Un’opera di «ingegneria demografica» che mira a separare le popolazione secondo linee etnico-confessionali e che «oltre ad avere un impatto drammatico sulla vita di milioni di persone, andrà anche a complicare le prospettive di una pace futura».

La denuncia è contenuta nel rapporto No retunr to Homs. A case study on demographic engineering in Syria («Nessun ritorno a Homs») curato dall’associazione olandese Pax in collaborazione con The Syria Institute. Il governo di Bashar al-Assad – si legge nel rapporto che farà discutere – avrebbe utilizzato tattiche militari (tra cui assedi, blocco dei rifornimenti di viveri, bombardamenti indiscriminati verso obiettivi civili, omicidi e trasferimenti forzati) per alterare l’equilibrio demografico del Paese. I bersagli privilegiati sarebbero gli abitanti di quei quartieri e di quelle città particolarmente legate all’opposizione al governo di Damasco.

La tragica vicenda di Aleppo è il caso più recente, ma nel 2014, la stessa strategia sarebbe stata messa in atto ad Homs e a Darayya. «Siamo di fronte a una campagna pianificata per distruggere intere comunità», commenta Marjolein Wijninckx, presidente di Pax, che evidenzia come queste operazioni non siano solo crimini di guerra, ma veri e propri crimini contro l’umanità.

Oggi Homs ha perso più della metà dei suoi abitanti (sarebbero tra le 200 e le 650 mila le persone rimaste in città). Ad andarsene sono stati soprattutto gli abitanti del centro storico e quelli dei sobborghi a maggioranza sunnita. Il centro di Homs, ad esempio, «venne svuotato tra il 7 febbraio e il 9 maggio 2014  attraverso una serie di trasferimenti forzati», si legge nel rapporto, cui sfuggirono solo un centinaio di persone. «Sebbene vengano denominate evacuazioni questo tipo di operazioni sono in realtà capitolazioni forzate, effettuate in condizioni di estrema costrizione dove i residenti intrappolati non hanno altre opzioni se non arrendersi o morire», precisa Pax.

Durante queste operazioni, è stato criticato anche il ruolo delle Nazioni Unite che – agli occhi degli sfollati – hanno assunto un ruolo di complicità con il regime e per non aver protetto a sufficienza gli sfollati, in modo particolare le centinaia di uomini arrestati durante gli screening all’uscita dalla città.

Da quando il governo di Damasco ha ripreso il pieno controllo della città, solo a pochissimi è stata data la possibilità di tornare nei quartieri di Qusoor, Qarabeis e Hamidieh i quartieri ribelli duramente colpiti dai bombardamenti governativi. «Il fatto che il quartiere a maggioranza cristiana di Hamidieh sia uno dei pochi in cui è stato permesso alla popolazione di ritornare e uno dei primi ad essere raggiunto dagli aiuti delle Nazioni Unite ha acuito il risentimento settario tra gli sfollati», si legge nel rapporto.

Chi vuole tornare a casa deve poi fare i conti con una serie di nuovi ostacoli burocratici. Il governo di Bashar al Assad, infatti, ha approvato una serie di leggi che rendono più difficile per i proprietari certificare il possesso delle case distrutte nelle aree bombardate. Mentre uno speciale Tribunale antiterrorismo può legalmente requisire beni e proprietà dei condannati.

«Il governo siriano – conclude il rapporto – ha usato Homs come banco di prova. Ripetendo lo stesso schema fatto d’assedio, distruzione e trasferimenti forzati della popolazione in tutto il Paese». In una Siria profondamente segnata dal conflitto e in cui più della metà della popolazione ha dovuto lasciare le proprie case, «è essenziale coinvolgere gli sfollati siriani e dare loro la possibilità di esprimersi sul futuro delle proprie comunità».

In questo scenario, la ricostruzione di Homs rappresenta un momento cruciale. «Fino a quando non verranno coinvolti gli ex residenti, il rischio è che gli attori internazionali coinvolti nel conflitto permettano al governo siriano di trarre beneficio dai crimini di guerra commessi – si legge nel rapporto –. Questo non farà che aggravare le divisioni sociali e minare i futuri sforzi di riconciliazione».

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