(g.s.) – Poco meno di cinquemila persone, provenienti da 50 Paesi, sono convenute a Istanbul, in Turchia, il 25 febbraio scorso per la prima Conferenza dei palestinesi in diaspora. Un appuntamento che avviene, non del tutto casualmente, nell’anno in cui ricorre il centenario della Dichiarazione Balfour.
I partecipanti alla due giorni sono attivi nel sostenere la causa nazionale sulla scena internazionale. Non pochi interventi hanno però anche dato voce alla frustrazione nei confronti dei vertici dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), entità nata nel 1994 in base agli Accordi di Oslo e controllata da politici e funzionari del movimento Fatah e dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), che ancor oggi è formalmente l’unica titolata a sedersi al tavolo negoziale con Israele. La delusione è indotta dalla scarsa attenzione che l’Olp, da anni, riserva alla voce e alle istanze dei palestinesi in diaspora. Ancora di più pesa lo stallo che, sul terreno, persiste da decenni e che non ha prodotto la fine dell’occupazione israeliana dei Territori e, tantomeno, la nascita di uno Stato di Palestina vero e proprio.
D’altronde, da più parti si contesta il contenuto degli stessi Accordi di Oslo, considerati inadeguati rispetto alle aspirazioni del popolo palestinese, anche perché hanno di fatto perpetuato fino ad oggi l’occupazione.
La dirigenza Olp ha preso le distanze dall’assemblea considerandola ostile e forse sospinta dalla fazione rivale, Hamas, o da finanziatori ancor più nell’ombra.
Secondo i dati dell’Ufficio palestinese di statistica sono oggi circa 12 milioni i palestinesi nel mondo. La metà vive sparsa in ogni dove, più o meno lontana dalle terre d’origine. Il Cile ospita la comunità più numerosa, con 400 mila membri.