È stata una Pasqua dai toni tetri per i copti egiziani che ancora piangono i loro cari perduti il 9 aprile scoso nel doppio attentato terroristico alle chiese di San Giorgio a Tanta e San Marco ad Alessandria, una strage che ha fatto circa 46 morti.
Pasqua blindata con poliziotti e militari a presidiare gli ingressi delle chiese e le istituzioni ‘’vitali’’ in tutto il paese, pattuglie di sorveglianza nelle vicinanze, video-camere installate ai muri delle chiese, cordoni di sicurezza intorno ai luoghi di culto.
Dopo una Settimana Santa macchiata dal peggiore attacco mortale contro la minoranza cristiana le celebrazioni eucaristiche sono state cancellate, soprattutto nell’Alto Egitto, per motivi di sicurezza. Come la Chiesa copto-ortodossa aveva annunciato, i riti della vigilia si sono limitati a semplici preghiere. Soltanto la messa del giorno di Pasqua, domenica 16 aprile, è stata autorizzata. Una celebrazione dedicata alle vittime dei due attacchi-bomba, rivendicati dai terroristi del sedicente Stato islamico.
Sui social network rimbalzano le foto dei martiri di Tanta ed Alessandria con l’invito a pregare per i copti d’Egitto. Wael Eskandar, giornalista indipendente, blogger e attivista di origini copte, fa eco allo choc della comunità copta, specialmente tra i sostenitori del presidente Abdel Fattah el Sisi che non si aspettavano un tale fallimento da parte degli apparati della sicurezza. «I cristiani vogliono vivere pacificamente, al sicuro, e da cittadini alla pari che hanno il diritto di praticare la loro fede, costruire luoghi di culto, ed essere protetti da atti di odio violenti perpetrati in un ambiente altamente discriminatorio contro i copti egiziani», argomenta il giornalista.
Eskandar biasima gli estremisti islamici ma anche il governo per le sue politiche che alimentano un terreno fertile per il terrorismo, così come i leader della Chiesa che, facendosi sostenitori del presidente el Sisi, secondo lui hanno imprudentemente reso i copti una facile mira per gli estremisti.
Dopo aver rafforzato la sicurezza con lo stato di emergenza dichiarato per tre mesi e confermato dal Parlamento, giovedì scorso, el Sisi ha promesso a papa Tawadros II – il patriarca copto – che farà tutto quanto è in suo potere per scovare i colpevoli.
Non sono pochi a temere che le misure di sicurezza adottate non siano sufficienti a sventare nuovi spargimenti di sangue. Conferma questi timori l’attacco della notte scorsa ai militari di guardia a un posto di blocco installato a tutela del monastero greco-ortodosso di Santa Caterina sul Monte Sinai: un poliziotto è rimasto ucciso e altri tre feriti.
In un’intervista a Reuters, il vescovo Macarius, capo della diocesi copta di Minya, si è detto scettico riguardo alla possibilità che lo stato di emergenza possa portare sicurezza e ha aggiunto che il governo deve fare di più per proteggere i cristiani.
Dopo la Pasqua, il pensiero è rivolto all’imminente visita di Bergoglio in Egitto prevista per il 28 e 29 aprile. «Gli egiziani aspettano con impazienza l’arrivo di Papa Francesco, malgrado il clima pesante», ha detto padre Rafic Greiche, portavoce dei vescovi d’Egitto a Catholic News Service il giorno dopo gli attentati. Greiche ha aggiunto che la visita del Pontefice «può portare pace e speranza al popolo egiziano e in particolare ai cristiani d’Oriente».
Gli addetti ai lavori stanno vagliando il programma per garantire la sicurezza del Papa e dei fedeli. Sono trascorsi quasi vent’anni dall’ultima visita ufficiale di un pontefice in Egitto. Giovanni Paolo II fu il primo Papa nella storia a recarsi in Egitto. Poco dopo il suo arrivo al Cairo, nel pomeriggio di venerdì 28 aprile, Papa Francesco interverrà a una conferenza internazionale sulla pace. Incontrerà inoltre il presidente El-Sisi; il grande imam della moschea di Al-Azhar, Sheikh Ahmed el-Tayyib; Tawadros II, papa della Chiesa copta ortodossa e patriarca di Alessandria e numerosi membri della comunità cattolica. Anche il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, sarà al Cairo con Bergoglio.
La visita papale si propone di consolidare il reciproco rispetto e dialogo tra i seguaci delle varie religioni, e isolare ulteriormente l’estremismo e la violenza.
«Non dimentichiamo i nostri fratelli in Egitto!»
(g.s.) – A margine delle dolorose cronache dei giorni scorsi, fra Ibrahim Faltas, religioso della Custodia di Terra Santa di origini egiziane, diffonde un appello ad essere vicini ai cristiani in Egitto.
«Ogni anno a Pasqua – scrive il frate da Gerusalemme – arrivano dall’Egitto tantissimi pellegrini, ma quest’anno la loro presenza ha avuto un impatto diverso, rispetto ai vivaci gruppi che eravamo abituati a incontrare negli anni precedenti. Quest’anno uomini e donne, con dignità si muovevano silenziosamente e soprattutto in sommessa preghiera, perché piangevano i loro morti degli attentati che della domenica delle Palme, in diverse chiese a Tanta e ad Alessandria d’Egitto».
Prosegue fra Ibrahim: «Anche per me questi sono stati giorni di forte apprensione perché i miei famigliari vivono ad Alessandria d’Egitto e anch’essi hanno vissuto momenti di terrore: la chiesa in cui si trovavano, e che frequentano anche le mie nipotine, è stata fatta evacuare, perché c’era già pronta una bomba che se fosse esplosa avrebbe fatto una vera strage di bambini».
Il frate ha un pensiero per i soldati che hanno bloccato in tempo l’attentatore suicida che voleva penetrare nella chiesa in cui stava celebrando il patriarca copto Tawadros II: «Sono soldati egiziani, uomini e donne musulmani che hanno dato la loro vita per salvare cristiani copti in preghiera, ma così hanno anche evitato una strage che sarebbe sfociata in una guerra civile».
Secondo fra Ibrahim «la risposta dei fedeli di tutte le chiese dell’Egitto è stata: la preghiera e il silenzio rispettoso, dove dinnanzi a tanta disumana violenza, si può invocare solo l’aiuto di Dio Padre. Nelle chiese la gente si è radunata per chiedere perdono anche per gli attentatori».
Faltas ha parole di elogio per l’attuale governo, che – dice – ridà prospettive di rinascita al Paese dopo la parentesi al potere dei Fratelli musulmani all’indomani della “Primavera araba” del 2011. Il frate chiede poi alla comunità internazionale di «bloccare con rigide sanzioni tutti quei Paesi che stanno seminando, sotto la maschera di una guerra di religione, la distruzione e la sopraffazione della ripresa sociale ed economica dell’Egitto».
Infine una richiesta rivolta a tutti ad unirsi «in un’unica preghiera per la popolazione egiziana, affinché, gli episodi di violenza che ha subito non facciano nascere il seme della vendetta, ma resti vivo il seme del perdono».