In un comunicato congiunto della Santa Sede e di Israele datato 13 giugno, ma diffuso ieri dal Vaticano, si parla di una possibile rapida conclusione dei negoziati e della firma dell’accordo che regolerà le questioni finanziarie e i diritti di proprietà della Chiesa cattolica in Israele.
Al termine della seduta plenaria della Commissione bilaterale permanente di lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele si è espresso compiacimento per i progressi compiuti. La riunione è stata co-presieduta da mons. Antonio Camilleri, nella sua veste di sottosegretario per i rapporti con gli Stati, e dal ministro israeliano per la cooperazione regionale, Tzachi Hanegbi.
Un lungo cammino è stato percorso per giungere fino a questo punto. Per comprendere meglio, occorre ricordarsi che l’accordo a cui si sta lavorando è previsto dall’Accordo fondamentale firmato tra le due Parti il 30 dicembre 1993, un quarto di secolo fa.
I negoziati (interminabili) della Commissione bilaterale furono avviati di fatto nel 1999. Si interruppero nel 2014 e sono ripresi nel gennaio scorso. Vertono sul riconoscimento dei diritti giuridici e patrimoniali delle istituzioni cattoliche e sulla questione delle esenzioni fiscali di cui la Chiesa beneficiava già al momento della creazione dello Stato di Israele nel 1948 (come, ad esempio, il tema del pagamento – o meno – delle imposte fondiarie sui beni immobili ecclesiastici ma anche il regime fiscale da applicare alle case di accoglienza dei pellegrini e le sovvenzioni di cui possono beneficiare scuole e ospedali). Uno dei punti certamente più emblematici è quello che riguarda il Cenacolo. La Chiesa – e segnatamente la Custodia di Terra Santa – ha tuttora in mano i documenti che attestano i suoi storici diritti di proprietà, ma la geopolitica di questi ultimi 70 anni ha ulteriormente complicato il tenore delle rivendicazioni degli uni e degli altri. Da parte sua, la Chiesa ha mostrato la propria buona volontà dichiarandosi pronta a discutere di diritto d’uso invece che continuare a rivendicare la proprietà.
L’accordo bilaterale che potrebbe essere firmato presto tra la Santa Sede e Israele segue un accordo simile raggiunto nel giugno 2015 tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina. Un patto che sancisce la libertà d’azione della Chiesa in Palestina e tocca questioni come la giurisdizione ecclesiastica, i luoghi di culto, le attività sociali, i mezzi di comunicazione sociale, le questioni fiscali e i diritti di proprietà. L’accordo è entrato in vigore il 2 gennaio 2016.
L’attuale fase di negoziati tra lo Stato ebraico e la Sede di Pietro, coincide con un momento in cui a Gerusalemme si vocifera di un nuovo pellegrinaggio di papa Francesco in Terra Santa. C’è un altro elemento da considerare: Israele punta ad ottenere il seggio di membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel biennio 2019-2020. Un obbiettivo difficile da raggiungere per lo Stato ebraico, considerato che per entrarvi dovrà ottenere i due terzi di consensi nell’Assemblea generale dell’Onu e che probabilmente non potrà contare sui voti delle nazioni arabe. La firma di un accordo con la Santa Sede potrebbe, forse, influenzare positivamente i Paesi a maggioranza cattolica di America Latina e Africa.
Un’ultima parola: in questo lungo negoziato bilaterale non è la prima volta che si leggono toni positivi in un comunicato della Commissione bilaterale. La prudenza è dunque d’obbligo.