D'ora in poi il 9 maggio sarà festa nazionale in Israele per ricordare la vittoria sul nazismo. La data scelta coincide con quella festeggiata in Russia. Segno di una relazione speciale tra le due nazioni.
Qualche giorno fa la Knesset, il parlamento unicamerale di Israele, ha approvato una legge che trasforma in festa nazionale il giorno della vittoria in Europa contro il nazismo. Quella ricorrenza è sempre stata onorata e ricordata, in Israele, e non solo perché marcava il momento in cui si pose finalmente termine anche all’Olocausto. Ma l’approvazione della legge le dà un risalto molto maggiore (come festa nazionale sarà spiegata nelle scuole e nei reparti militari, il parlamento e il governo terranno cerimonie ufficiali, ci sarà una manifestazione a Gerusalemme) e le attribuisce un significato anche storico e politico.
E proprio questo è l’aspetto più interessante di questa (solo) in apparenza piccola notizia. Israele, infatti, ha sempre ricordato come giorno della vittoria sul nazismo il 9 maggio, com’era abitudine dei russi dell’epoca sovietica e com’è abitudine dei russi dell’era post-sovietica. Gli altri Paesi d’Europa e gli Usa, invece, celebrano la resa incondizionata dei nazisti l’8 maggio. Tutto corretto, perché quando i generali tedeschi Keitel, Stumpf e Von Friedeburg apposero la firma tanto sospirata, a Berlino era ancora l’8 mentre a Mosca era già il 9.
Ma perché gli israeliani hanno scelto il 9? Perché Israele, complice anche il fatto che molti ebrei sovietici presero parte ai combattimenti e che molti dei superstiti sono poi emigrati verso lo Stato ebraico, ha sempre riconosciuto il ruolo decisivo dell’Armata Rossa nel collasso della macchina bellica tedesca e lo ha di conseguenza onorato. Non a caso nel 2012 è stato inaugurato nella città israeliana di Natanya, alla presenza di Vladimir Putin e dell’allora presidente Shimon Peres, un monumento all’Armata Rossa vittoriosa.
Ora è arrivato questo innnalzamento al rango di festa nazionale del famoso 9 maggio. Molti hanno visto nella mossa una strizzata d’occhio al Cremlino, considerato dal governo di Israele un interlocutore ormai non trascurabile anche in Medio Oriente, soprattutto per partite cruciali come le Alture del Golan, il conflitto con i palestinesi, le ambizioni politiche (e non solo) dell’Iran. Un Cremlino che è alleato della Siria del detestato Bashar al-Assad e in ottimi rapporti con il Paese degli ayatollah, è vero. Ma che è sembrato anche rispettoso di certe «esigenze» di Israele, visto l’aplomb mantenuto da Putin di fronte alle numerose incursioni condotte dall’aviazione israeliana in terra di Siria contro la presenza di Hezbollah e dei pasdaran iraniani.
Perché Babylon
Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.
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Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com