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Iran e Ue, la diplomazia degli affari

Fulvio Scaglione
5 ottobre 2017
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Revocando l'accordo con l'Iran Trump potrebbe, in nome dell'interesse nazionale, costringere le aziende europee a scegliere tra i partner iraniani e quelli statunitensi.


Si è svolto nei giorni, scorsi, a Zurigo, il quarto Forum Europa-Iran, con un titolo significativo: Investimenti e commercio post-sanzioni. È chiaro che gli uomini d’affari iraniani ed europei non vedono l’ora di ristabilire normali relazioni d’affari. Prima che il Paese degli ayatollah fosse bersagliato dalle sanzioni internazionali, l’Unione Europea era il suo principale partner commerciale. Cambiata la situazione, sono stati Emirati Arabi Uniti e Cina a farla da padrone, con il 23,6 e il 22,3 per cento rispettivamente dell’interscambio commerciale con l’Iran.

Da quando, nel luglio del 2015, Barack Obama siglò l’accordo sul nucleare iraniano, gli europei si sono lanciati all’inseguimento. Nel 2016 le esportazioni dall’Iran verso l’Europa sono aumentate del 344 per cento (per il 77 per cento petrolio) e quelle dell’Europa verso l’Iran del 27 per cento (in gran parte macchinari industriali e veicoli da trasporto). A favorire la Ue in questa corsa agli affari è stata la posizione americana: il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) siglato da Obama valeva per le sanzioni internazionali (cioè quelle decise in sede Onu nel 2006 e nel 2010), ma non aboliva le sanzioni separatamente varate dagli Usa. Così gli uomini d’affari americani si sono trovati con le mani ancora legate mentre quelli europei no.

Anche per questo, oltre che per questioni di principio, la diplomazia europea ha difeso a spada tratta l’accordo del 2015 contro Donald Trump, il nuovo presidente americano che invece lo considera (l’ha detto di recente anche all’Onu) «il peggior accordo mai firmato dagli Stati Uniti d’America».

La domanda ora è: che cosa potrebbe succedere se, come molti pensano, Trump dovesse revocare l’accordo? Per gli americani poco o nulla. Ma il governo Usa potrebbe sanzionare le aziende europee che fanno affari con l’Iran impedendo loro di lavorare negli Usa o con aziende americane, come è già successo in passato. Il che imporrebbe alle stesse aziende una scelta dolorosa tra il business con l’Iran e quello, di certo più stimolante, con un colosso dell’economia come gli Usa.

Ancora una volta, quindi, si propone la dicotomia tra l’interesse nazionale americano e quello collettivo degli europei. Ora che anche nell’amministrazione americana si aprono crepe sull’atteggiamento da tenere con l’Iran (John Mattis, l’ex generale dei marine che ora è ministro della Difesa, si è detto a favore della conservazione dell’accordo), la diplomazia degli affari diventa ancor più importante.

 


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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