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Emergenza idrica in Palestina, storie da Betlemme

Beatrice Guarrera
5 dicembre 2017
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Avere l'acqua corrente in casa nei Territori Palestinesi non è affatto scontato e normale. Né in Cisgiordania né nella Striscia di Gaza. Per molteplici ragioni. Alcune testimonianze.


Osservando il paesaggio nei dintorni di Beit Sahour, centro urbano ad est di Betlemme, le cisterne in cima alle case permettono di distinguere le abitazioni palestinesi dagli edifici che fan parte degli insediamenti ebraici. Lo spiega la gente del posto che ogni giorno fa i conti con il problema della carenza idrica. Le cisterne sulle case servono, infatti, a conservare l’acqua o a raccogliere la pioggia, ma non tutte le abitazioni ne hanno bisogno. In Cisgiordania l’acqua è distribuita in maniera diversa da casa a casa, a distanza di pochi metri l’una dall’altra. Per sopperire ai disagi dell’emergenza idrica, la popolazione si ingegna come può, ma il problema della gestione delle risorse rimane una ferita aperta che non accenna a guarire, anzi è «un ostacolo alla pace», come lo ha definito la Bbc.

Secondo l’Autorità palestinese per l’acqua, il 95 per cento delle riserve idriche palestinesi si trova nelle falde acquifere (sono tre i bacini sotterranei). L’acqua di superficie, di cui teoricamente si potrebbe disporre, proviene invece dalle piene dei wadi (i torrenti stagionali), dall’eventuale desalinizzazione delle acque del Mar Morto e dal fiume Giordano. Nessuna di queste risorse, tuttavia, è di fatto utilizzabile dai palestinesi. Dal 1967, infatti, è impedito loro il prelievo dal Giordano, mentre per il Mar Morto (che va restringendosi), anche qualora si potesse prelevare acqua, si dovrebbero prevedere impianti di desalinizzazione, ad oggi inesistenti. Problematico si presenta anche l’utilizzo di risorse idriche provenienti dalle inondazioni dei wadi, per gli elevati costi e i mancati permessi da parte di Israele, che occupa i Territori. Permessi indispensabili anche per costruire acquedotti da parte dei palestinesi, i quali patiscono limitazioni anche per quanto concerne la realizzazione di pozzi (non possono scavare oltre i 140 metri di profondità).

Ad oggi la gestione dell’acqua è quasi completamente centralizzata e sotto il controllo di Mékorot, la compagnia israeliana che ne amministra la distribuzione anche in Cisgiordania. L’80 per cento delle risorse è controllato da Israele, che dal 1995 ha progressivamente privilegiato, nella fornitura d’acqua, gli insediamenti ebraici presenti nei Territori.

I palestinesi gestiscono una rete idrica secondaria, che è, però, obsoleta e ha una minore capacità di trasporto dell’acqua; è inefficiente al punto che più del 40 per cento del liquido va disperso o risulta inquinato. Un’importante fonte di approvvigionamento idrico resta, allora, quella della raccolta di acqua piovana, a cui si aggiunge l’acquisto di acqua trasportata dalle autocisterne, spesso molto costosa.

La situazione a Gaza è ancora più difficile, dato che la Striscia può usufruire solo delle riserve idriche presenti sul suo territorio e il 97 per cento dell’acqua della falda non è potabile, a causa dei fortissimi tassi di inquinamento.

Gli effetti di questa drammatica emergenza sono numerosi disagi per la popolazione e gravi danni all’agricoltura, che rappresenta la principale risorsa economica dei palestinesi.

La difficile situazione climatica crea disagi a più ampio raggio, non solo nei Territori, ma in tutta la regione. Negli ultimi quattro anni di siccità è progressivamente sceso il livello del lago di Tiberiade, in Israele. Anche le falde acquifere sotterranee, fonte di acqua dolce, vanno lentamente aumentando di salinità. La situazione è talmente preoccupante che il governo israeliano aveva prospettato tagli di oltre il 50 per cento sul consumo dell’acqua per il prossimo anno, ma le forti proteste degli agricoltori lo hanno indotto a fare marcia indietro.

Per un occidentale qualunque avere a disposizione acqua illimitata non è considerato un privilegio, ma la normalità. A Betlemme, invece, l’acqua si riceve a turni: una o due volte al mese, oppure un giorno a settimana, più in inverno che in estate o viceversa. Dipende dall’andamento della stagione e da vari altri fattori. Ne consegue che, se gli abitanti vogliono avere la possibilità di bere, lavarsi e cucinare, devono far uso di cisterne per raccogliere e conservare l’acqua piovana. Questi impianti richiedono ovviamente manutenzione e interventi, che non tutti hanno la possibilità di sostenere economicamente. Il risultato è che oggi molti utilizzano acqua inquinata, conservata in taniche arrugginite, o sono costretti a chiedere aiuto a familiari o vicini per fare il bucato o per le necessità quotidiane. Sono storie di quotidiano disagio. Come quella di Leila, che per 38 anni non ha avuto la possibilità di avere acqua calda in casa.

Seduta sul divano del suo piccolo appartamento di Betlemme con i muri e i soffitti macchiati dall’umidità, Leila racconta della sua vita difficile: sei figli, difficoltà economiche e la lunga malattia del marito. Le giornate – ricorda Leila – iniziavano tutte allo stesso modo: mettendo a bollire una grande pentola d’acqua per lavare i bambini. E in famiglia l’acqua della cisterna, anche se non era pulita, la bevevano tutti lo stesso, perché non avevano soldi per comprarne. Poi i figli si sono fatti grandi, il marito è venuto a mancare e anche per Laila è arrivato il tempo della vecchiaia. «Ultimamente non riuscivo più a sollevare la pentola d’acqua e a portarla su per gli scalini che portano in bagno. Così ho chiesto aiuto e da qualche mese va molto meglio», spiega. Due pannelli solari e una cisterna per riscaldare l’acqua hanno cambiato la sua routine mattutina. Continuerà ad andare al centro anziani che frequenta, accoglierà i nipotini a casa sua, ma non dovrà più far bollire l’acqua nella pentola ogni mattina.

A raccogliere la richiesta d’aiuto di Leila è stata Naila, donna empatica, con pazienza da vendere e capacità di ascolto fuori dal comune. Naila è un’assistente sociale che lavora da anni tra la gente di Betlemme: per questo quando passa tutti la salutano. «Sono rimasta molto stupita che Leila, che pure conoscevo già, non avesse mai avuto acqua calda per tutti quegli anni – racconta Naila –. Come è potuto succedere?». È una domanda che qui viene da porsi spesso, se si pensa ad altre situazioni di disagio. C’è chi, come Shereen, non ha acqua per lavare i panni o da far bere al proprio bambino. Questa giovane cristiana, che abita nel centro storico di Betlemme, non lontano dalla chiesa della Natività, ci descrive la sua situazione, mentre il figlio dorme nella stanza accanto. Dentro di lei scalpitano altri due gemellini in arrivo. «Negli anni passati i nostri vicini ci hanno aiutato molto – spiega Sheeren –. Chiedevamo loro dell’acqua, perché da noi arriva solo ogni venti giorni d’inverno e una volta al mese d’estate». La situazione era critica tanto che Sheeren per lavare i vestiti era costretta a portarli a casa dei genitori. Dopo alcuni lavori di manutenzione, la possibilità di usufruire di un pozzo, costruito negli anni Cinquanta del secolo scorso sotto la sua abitazione, ha migliorato le cose. Ad aiutare ulteriormente Shereen sono stati anche due pannelli solari e una tanica, installati di recente per consentirle di avere l’acqua calda.

Cosa significa vivere anni con acqua imbevibile dai rubinetti di casa propria, lo sanno bene anche Joseph e Renée. I due anziani, che abitano nel centro storico di Betlemme, hanno vissuto nello stesso appartamento per trent’anni. Due cisterne nuove e dei pannelli solari per l’acqua calda hanno da poco semplificato la vita alla coppia. L’acqua corrente da loro arriva in estate ogni due settimane e in inverno circa ogni dieci giorni. La cisterna che avevano installato trent’anni fa ormai era completamente arrugginita. «Se tu vedessi cosa c’è in quella cisterna, rimarresti spaventata» rivela Joseph. Renée spiega come facevano ad andare avanti: «Compravamo acqua da bere e per cucinare. Trasportare le bottiglie non era semplice». Il problema era che i due anziani non potevano affrontare la spesa necessaria per cambiare la cisterna, avendo speso tutti i risparmi per un’operazione al cuore di Joseph. Oggi l’anziana coppia ha a disposizione acqua potabile e la qualità della vita è migliorata. Grazie a un intervento di Ats pro Terra Sancta, l’ong della Custodia di Terra Santa.

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