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L’Onu, Gerusalemme e il randello del dollaro

Fulvio Scaglione
22 dicembre 2017
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L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha fatto il vuoto intorno agli Usa (e ad Israele) per la decisione di trasferire l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Senza, però, alcuna conseguenza pratica.


E così, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha condannato la decisione di Donald Trump, che ha deciso di spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo questa città come capitale di Israele, con una larghissima maggioranza: 128 Paesi favorevoli alla mozione di censura, 35 astenuti, solo 9 contrari. Il voto ha valore meramente consultivo e il risultato era prevedibile, perché la mossa di Trump (che riconosce come israeliana anche Gerusalemme Est, che l’Onu invece considera “territorio occupato”) sconvolge settant’anni di diplomazia internazionale.

Fa però ugualmente impressione notare che a fianco degli Usa, in questo frangente e su questo tema, si sono schierati solo Israele (ovviamente), Guatemala, Honduras, Palau, Micronesia, Isole Marshall, Nauru e Togo. Gli ultimi quattro Paesi sono tutti isole del Pacifico, e tre di loro sono ex colonie americane. Tutti insieme questi Paesi hanno meno di 200 mila abitanti. In sostanza, gli Usa e Israele sono soli.

Considerazione che, però, ne fa nascere un’altra. Usa e Israele sono soli ma fanno ugualmente ciò che vogliono e tutto il resto del mondo sembra impotente. Si tratta della superpotenza mondiale e dello Stato ebraico, nazioni di cui non si può sottovalutare il peso e l’importanza. Ma è possibile che 128 Paesi non riescano a fare nulla, ma proprio nulla, per decenni, su una situazione (l’occupazione, e a Gerusalemme ora anche l’annessione, abusiva, di territori palestinesi da parte di Israele) i cui contorni sono, almeno in teoria, chiarissimi per il diritto internazionale?

Altre domande, a cascata. Esiste davvero un “diritto internazionale”? Davvero le nazioni si richiamano ad esso nella loro azione politica? Esiste ancora una comunità internazionale, con dei principi e delle regole, o sopravvivono solo gli interessi economici e commerciali con il contorno di qualche vaga dichiarazione teorica?

Gli Stati Uniti, alla vigilia del voto dell’Assemblea Generale, hanno minacciato di tagliare i fondi alle Nazioni Unite e di rivedere i rapporti con i Paesi che avessero votato a favore della mozione di condanna. Hanno insomma agitato il randello dei dollari. Difficile non trovarlo significativo.

 


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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