Pensate di sapere tutto sui cammelli, animali tipici dei panorami mediorientali e nordafricani? Vi hanno già detto che per loro nella penisola araba vi sono oceanici concorsi di bellezza?
Dici Arabia e dici cammelli. Peraltro mai momento storico è stato più ideale per ripetere questo stereotipo fondato, specie da quando è assurta agli onori delle cronache la notizia che 12 cammelli sarebbero stati espulsi da una gara di bellezza in Arabia Saudita perché gonfiati con iniezioni di botox per renderli più “attraenti”. Ora, la notizia è di quelle che fanno sorridere e rimanda immediatamente all’associazione di idee tra cammelli, donne e botox. Eppure non tutti sanno che:
1. il cammello, che una volta chiamavano «la nave del deserto», è una delle icone più durature della penisola arabica. Quando il cammello divenne la bestia da soma per eccellenza, l’invenzione fu salutata con lo stesso entusiasmo dell’introduzione della ruota in Mesopotamia.
2. Il numero di cammelli in tutto il Medio Oriente e Nord Africa è diminuito drasticamente nel secolo scorso, ma il quadrupede non ha fatto la fine del bisonte americano. Finché i turisti vorranno farsi fotografare davanti alla sfinge in groppa a un cammello, esso sopravvivrà a lungo. Ma in Arabia il cammello è ancora abbastanza interessante anche sotto il profilo del business.
3. La gara di bellezza tra cammelli è, come si dice, una cultural thing tipica dell’area del diwan, ma è anche una bella scusa per far girar danari. Ad esempio, il King Abdulaziz Camel Festival di quest’anno (in Arabia Saudita) offre un considerevole premio in denaro per gli animali più belli: parliamo di un totale di 118 milioni di riyal sauditi e quasi 32 milioni di dollari per i vincitori. Considerando che circa 300 mila cammelli partecipano al festival per un mese, la competizione rende ogni concorso di bellezza per donne un evento da dilettanti.
4. Gli Emirati Arabi Uniti hanno un proprio festival di cammelli ad Abu Dhabi (Al Dhafra Festival), ma con “soli” 25mila partecipanti nella categoria Singoli, nutrono parecchia invidia per il grande evento saudita. In quest’ultimo, ci sono anche le gare (e i premi) di gruppo per il miglior gregge di 30 cammelli e 50 cammelli. Oppure si può gareggiare nella categoria per il cammello più obbediente che vince 50mila riyal sauditi. E ci sono anche i premi per la velocità, per la migliore danza e per la migliore poesia sui cammelli. Il premio più consistente resta comunque quello per l’animale più bello, e qui – scusate il bisticcio di parole – viene il bello. I criteri estetici con cui valutare la qualità di un cammello sono: gambe lunghe, collo lungo, gobba formosa nella parte inferiore della schiena, grande testa, ciglia folte, occhi chiari ed espressivi, orecchie piccole, labbra spesse, carnose e scure. Non stupisce dunque che ci siano proprietari che abbiano pensato di “dopare” i loro cammelli per agguantare la somma promessa. Da qui l’espulsione dalla gara e lo scorno.
5. Lo scandalo dell’espulsione ha attizzato culturalmente la rivalità tra Emirati e Arabia Saudita, già piuttosto alta sulla guerra in Yemen. Una fonte negli Emirati, infatti, ha affermato che una vergogna simile non potrebbe accadere nel suo Paese, dal momento che i concorrenti (intesi come i proprietari, piuttosto che i cammelli,) devono giurare sul Corano in merito alla loro proprietà e all’età del cammello. «Qualunque sia la tattica usata per giudicare, si ricorda ai proprietari che mentre gli allevatori possono giudicare i cammelli, Dio sta giudicando loro».
Ora, ci auguriamo che, oltre a godersi lo spettacolo ben rilassato sul suo diwan, Dio abbia il senso delle proporzioni nel giudizio. Ci auguriamo anche che chi si preoccupa di essere giudicato per avere gonfiato un cammello, si preoccupi di più per un certo numero di bombe sganciate per uccidere i fratelli nella religione.
Perché Diwan
La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.
Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.
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Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen). È corrispondente da Sana’a per varie testate straniere.
Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu). Cura il programma Cous Cous Tv, sulle televisioni nel mondo arabo, per TV2000.
Ha girato, autoprodotto e venduto otto video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).