«Negli anni precedenti all’11 settembre [2001] pensavamo di essere in cammino verso tempi molto buoni, si credeva che valori come la libertà, la democrazia e il rispetto dell’altro si stessero diffondendo ovunque. Purtroppo, sembra che le cose siano cambiate, e che le religioni siano in prima linea in questa deriva». Le parole del rabbino Michael Melchior sono rivolte alla platea del sesto Forum mondiale per il contrasto dell’antisemitismo, un evento che dal 19 al 21 marzo ha raccolto a Gerusalemme politici, accademici, giornalisti, religiosi, rappresentanti di istituzioni culturali come Yad Vashem o come l’Unesco. Sono state tre giornate fitte di dibattiti e incontri dedicati alle strategie per sconfiggere l’antisemitismo in tutti gli ambiti in cui si manifesta: dallo sport, ai social media, passando per gli ambienti dell’attivismo progressista o le comunità dei migranti arrivati in Europa.
Un posto di riguardo nel calendario dei lavori l’hanno avuto anche le tradizioni religiose. La sessione plenaria del 21 marzo è stata dedicata a leader spirituali di islam, cristianesimo ed ebraismo, invitati a parlare di religione come risorsa per promuovere la tolleranza e scardinare dinamiche che possono portare fino alla violenza estrema del terrorismo. A moderare lo scambio c’era il rabbino Melchior, che oltre ad essere il rabbino capo della comunità ebraica norvegese è membro del Parlamento israeliano e da decenni spende la sua esperienza di leader spirituale in ambito politico. Rav Melchior è impegnato sul campo anche nel dialogo interreligioso, e tra le altre cose ha fondato Mosaica, un’iniziativa per la conciliazione fra israeliani e palestinesi che tenga conto anche della tradizione religioso-spirituale. Forte delle sue relazioni con cristiani e musulmani, rav Melchior ha invitato il nunzio apostolico per Israele e Cipro, mons. Leopoldo Girelli, il rabbino ed esperto di educazione Irvin Greenberg, il vice presidente della Comunità religiosa islamica italiana (Coreis) e imam della moschea Al-Wahid di Milano, Yahya Sergio Yahe Pallavicini e la rabbina Tamar Elad Appelbaum, che a Gerusalemme ha fondato la comunità Zion.
La conversazione partita dall’idea di tolleranza come imperativo spirituale è stata un’occasione per fare una fotografia del ruolo delle religioni in un mondo sempre più polarizzato. «L’antisemitismo è la forma di odio più antica», ha ricordato rav Melchior, «ma se lo isoliamo da tutte le “fobie”, dall’islamofobia in poi, non gli facciamo un buon servizio. Non possiamo combattere il terrorismo senza chiederci: in che tipo di società vogliamo vivere?». Quindi la discussione è partita dall’antisemitismo, ma si è allargata a tutte le rappresentazioni dell’«altro» che rischiano di far naufragare l’affermarsi di società plurali e aperte.
Il nunzio ha ricordato il pilastro della Nostra aetate e i passi fatti dalla Chiesa cattolica nel ricostruire un rapporto nuovo con i fratelli ebrei. Rav Greenberg ha affermato che questo processo di rinnovamento – anche se non ancora concluso – è «una delle più grandi trasformazioni del nostro tempo», e che può essere un modello per i rapporti tra islam ed ebraismo. Greenberg ha poi anche raccomandato l’importanza di sostenere i leader moderati che promuovono processi di modernità in tutte le tradizioni, inclusi gli ambienti dell’ebraismo più ortodosso.
L’imam Pallavicini a sua volta ha detto «stop all’esclusivismo della verità», perché la bontà dell’essere radicati nella propria tradizione non può portare allo screditamento della verità altrui. L’imam arrivato appositamente dall’Italia ha continuato sottolineando l’importanza della formazione interreligiosa nelle scuole, per insegnare ai giovani che in ogni momento della storia, nonostante le crisi, c’è stata cooperazione e convivenza tra le religioni. Pallavicini ha anche ricordato che i leader religiosi devono essere in grado di collaborare con le istituzioni per contribuire in modo positivo alle nostre società.
Un esempio di quanto sia importante conoscersi e collaborare arriva da Malmö, in Svezia, la città che secondo alcuni titoli di giornale è la più antisemita d’Europa. Rav Melchior ha condiviso la storia di Amanà, l’associazione nata dalla collaborazione fra un rabbino israeliano e un imam libanese, grazie alla quale i giovani (ma non solo) di entrambe le religioni stanno iniziando a conoscersi. «La società di Malmö aveva bisogno di una realtà a cui fare riferimento. Ora che esiste, la gente chiede di incontrarsi. Abbiamo bisogno di luoghi e contesti che consentano di conoscerci».
L’unica donna che ha preso la parola nel dibattito, la rabbina Tamar Elad Appelbaum, ha fondato a Gerusalemme una comunità che ha come modello l’universalità di questa città, perché oltre a fondere tradizione ashkenazita e sefardita è impegnata in attività anche con comunità cristiane e musulmane. Melchior ha presentato Tamar come «la leader spirituale femminile più vicina a un rebbe chassidico», ma la Kehillah Zion è frequentata anche da ebrei laici attratti da un orientamento che «punta ad essere responsabile verso tutti, a prescindere dalla tradizione religiosa». La Elad Appelbaum è stata l’ultima a intervenire e ha ricordato che «la fede si rifiuta di arrendersi al mondo come lo conosciamo, non punta a farci vivere in una modalità di sopravvivenza». Come antidoto all’individualismo e al materialismo ha suggerito di «allenare noi stessi e le nostre comunità a rimanere sul percorso della tolleranza».
Un impegno contro l’odio in Rete
Al Forum mondiale contro l’antisemitismo è stata qualificante anche la presenza italiana. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha partecipato a un panel con gli omologhi di Israele, Grecia e Malta e firmato una dichiarazione congiunta che impegna l’Italia nella lotta contro l’incitamento alla violenza e al terrorismo in Rete. Il documento ricorda in modo molto chiaro che è necessario proteggere la libertà d’espressione, ma afferma che «l’intera comunità ha interesse a rendere Internet uno spazio sicuro e prevenire gli abusi». Con la dichiarazione firmata a Gerusalemme i ministri dei quattro Paesi chiedono ai provider di adottare uno standard chiaro e trasparente che consenta di identificare le pubblicazioni che ospitano discorsi di odio e rimuoverle. Inoltre, si afferma la necessità di «stabilire gli strumenti per una comunicazione trasparente con le agenzie nazionali» e una collaborazione permanente con l’obiettivo di impedire la promozione del terrorismo sulle piattaforme online.