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Grossman: «Israele non è casa»

Giorgio Bernardelli
18 aprile 2018
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Lo scrittore israeliano di fama internazionale David Grossman riceve domani, 19 aprile, l'Israel Prize. Per l'occasione oggi ha pronunciato un discorso provocatorio.


I calendari sono importanti in Medio Oriente. Così non deve stupire che – con buona pace del 14 maggio, scelto come data simbolica da Donald Trump per il trasferimento dell’ambasciata americana – per Israele i 70 anni dall’indipendenza cadano già domani. La dichiarazione del 1948 fu infatti letta da David Ben Gurion il 14 maggio 1948, però il calendario ebraico quel giorno segnava la data del 5 Iyar. E dunque la festa nazionale dell’indipendenza che commemora la nascita del moderno Stato di Israele si celebra il 5 Iyar, che quest’anno cade appunto il 19 aprile.

Tra le cerimonie che accompagnano sempre la ricorrenza c’è la consegna dell’Israel Prize, il premio che ogni anno celebra le figure più insigni del Paese. E domani, tra gli altri, toccherà anche allo scrittore David Grossman. Già, perché nonostante sia da tempo uno dei romanzieri più apprezzati in tutto il mondo e puntualmente ogni anno candidato al Nobel per la letteratura, David Grossman non aveva ancora ricevuto l’Israel Prize. Il che la dice lunga sull’imbarazzo con cui la destra israeliana che con Benjamin Netanyahu da tempo ormai domina la scena politica nel Paese guardi a un autore che in questi anni si è speso costantemente per la promozione della pace in Medio Oriente. Alla fine però l’anomalia è apparsa troppo grande anche al partito Likud così – proprio in occasione dell’edizione dei 70 anni di Israele – Netanyahu e la sua ministra della Cultura, Miri Regev, hanno dovuto cedere. Dunque domani a Grossman sarà consegnato finalmente l’Israel Prize per la letteratura.

L’interessato non è però tipo da ricambiare la cortesia con qualche salamelecco. E allora proprio in queste ore, prima di ricevere il premio nella cerimonia ufficiale, ha colto un’occasione importante per far sapere in un discorso pubblico il suo pensiero sui 70 anni di Israele. Lo ha fatto ieri sera intervenendo a Tel Aviv alla cerimonia promossa dal Parents Circle e dai Combatants for Peace per ricordare nello Yom HaZikaron, il giorno dei caduti in Israele, tanto le vittime israeliane quanto quelle palestinesi del conflitto. Una scelta che ha suscitato polemiche, con lo stesso ministro israeliano della Difesa Avigdor Lieberman che ha cercato di mettere i bastoni fra le ruote negando alcuni permessi; e gruppi della destra nazionalista ebraica giunti appositamente a contestare l’evento. Alla fine, però, ottomila persone hanno partecipato e Grossman – che nel 2006 nella guerra del Libano perse suo figlio Uri – ha preso la parola pronunciando il discorso che proponiamo nel primo link qui sotto (e che consigliamo, a chi conosce l’inglese, di leggere per intero).

Ha parlato del senso del fare memoria di chi non c’è più, David Grossman. «Ogni volta che sono tentato dalla vendetta e dall’odio – ha raccontato – mi accorgo immediatamente che questi atteggiamenti mi fanno perdere il contatto con mio figlio. Che qualcosa si chiude. E allora ho fatto la mia scelta. E adesso so che dentro il dolore ci può essere anche un respiro, una creazione, fare qualcosa di buono. Che il dolore non isola per forza ma può anche unire e rafforzare».

La parte più forte del suo discorso, però, è arrivata dopo, quando lo scrittore ha raccontato che cosa significhi per lui celebrare i 70 anni di Israele. «Spero che celebreremo ancora molti altri anni e molte generazioni di figli, nipoti e pronipoti – ha detto Grossman – che vivranno qui, accanto a uno Stato palestinese indipendente, nella sicurezza, nella pace e nella creatività e – cosa più importante di tutte – in un contesto quotidiano sereno, da buoni vicini; che possano sentirsi a casa qui».

Già, ma che cos’è una casa? «Un posto le cui mura, i confini – ha risposto lo scrittore – sono chiari e accettati, la cui esistenza è stabile, solida e serena, i cui abitanti conoscono le sue regole profonde; dove le relazioni con i vicini sono state definite. Una casa è qualcosa che promuove un senso di futuro. Ma noi israeliani – ha proseguito David Grossman – anche dopo settant’anni non ce l’abbiamo ancora qui. Non importa quante parole che grondano miele patriottico sentiremo nei prossimi giorni. Non siamo a casa. Israele – ha ricordato ancora – nacque perché il popolo ebraico, che non si era quasi mai sentito a casa nel mondo, avesse finalmente una casa. Ecco, settant’anni dopo Israele sarà anche una fortezza, ma non è una casa. Perché se i palestinesi non avranno una casa, non potremo averla mai neanche noi israeliani. E se Israele non sarà una casa, non lo sarà mai nemmeno la Palestina».

Nel discorso è andato poi avanti a spiegare punto per punto perché Israele oggi non è una casa: dove c’è un’occupazione – ha detto lo scrittore – lì non c’è una casa; dove si cerca di distruggere l’autorità della Corte Suprema, non c’è una casa; dove si cerca di sbarazzarsi degli eritrei e dei sudanesi con dubbi accordi con Paesi come il Ruanda o l’Uganda, non c’è una casa; dove si abbandonano gli ultimi della società, non c’è una casa….

Ha concluso dicendo che cosa farà dell’assegno dell’Israel Prize: la metà David Grossman lo dividerà tra il Parents Circle (l’associazione che riunisce le famiglie israeliane e palestinesi accomunate dal fatto di aver perso un proprio caro nel conflitto) e l’associazione Elifelet, che si prende cura dei bambini stranieri. Due realtà che fanno di Israele una casa. Per tutti e per davvero.

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Clicca qui per leggere il testo integrale in inglese del discorso di David Grossman

Clicca qui per vedere il sito del Parents Circle

Clicca qui per vedere il sito dell’associazione Elifelet

  


 

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A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

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