Spesso, al termine del pellegrinaggio in Terra Santa, i pellegrini pongono la domanda circa la capacità, una volta arrivati a casa, di poter raccontare in maniera adeguata l’esperienza vissuta, di poter essere testimoni di quello che è accaduto durante il cammino. E tutte le volte mi vengono in mente le parole che Papa Francesco, in più occasioni, ha citato riferendole al Poverello d’Assisi: «Annunciate il Vangelo sempre. E, se fosse necessario, con le parole».
C’è un modo di annunciare il Vangelo che non passa attraverso le parole ma attraverso la vita. Le parole potrebbero anche non esserci mai. Infatti, prosegue il Santo Padre «è nella nostra vita che gli altri devono poter leggere il Vangelo».
È evidente che il Papa – con questa espressione ad effetto che difficilmente riusciamo a dimenticare – si riferisce al capitolo XVI della prima regola di Francesco quando il Santo d’Assisi indica ai frati «missionari» il modo di comportarsi tra i non cristiani: «I frati poi che vanno tra gli infedeli [quelli che non hanno la fede in Cristo – ndr], possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio […]».
Per Francesco c’è un modo di annunciare il Vangelo che vale sempre, non solo «in missione» ed è quello della testimonianza di una vita pacifica, fraterna e amabile con tutti radicata in una chiara identità cristiana. Le parole si potranno dire quando «piacerà al Signore». Ma questo potrebbe anche non accadere mai. Nel capitolo seguente Francesco (il XVII che parla dei predicatori) è ancora più esplicito: «Tutti i frati, tuttavia, predichino con le opere».
L’annunciare il Vangelo con la vita non è riducibile al semplice buon esempio. Tante volte siamo tentati di far coincidere la testimonianza della vita con la coerenza e con il buon esempio. Ma la testimonianza è molto di più. È qualcosa che innanzitutto non dipende da una nostra capacità o dalla nostra buona volontà.
In Terra Santa sono due i luoghi, in particolare, che evocano in me il concetto cristiano di testimonianza. Il primo è Ain Karem dove Maria ha visitato la parente in attesa, da sei mesi, di Giovanni il Battista. Proprio Elisabetta è figura del testimone. Quando il suo corpo non è più in grado di generare vita si trova in dolce attesa grazie a un intervento divino. Non è stata la sua buona volontà o un suo particolare impegno o sforzo a farla rimanere incinta ma solo l’Onnipotenza di Dio. E proprio per questo diventa testimone delle grandi e impensabili opere che Dio compie. È testimone di un Onnipotente all’opera.
Il secondo luogo è Betania. Dopo la risurrezione dell’amico Lazzaro, in occasione di una cena durante la quale Maria aveva cosparso i piedi di Gesù con del prezioso nardo, accorrevano a Betania molti giudei non solo per vedere Gesù ma anche per vedere Lazzaro. L’evangelista Giovanni sottolinea: «I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù» (Gv 12, 10-11).
Anche Lazzaro è testimone che induce molti a credere in Gesù. Eppure è l’unico personaggio dei tre fratelli di Betania che in tutto il Vangelo non fa nulla e, soprattutto, non dice nulla. Non una parola, non un gesto. Solo è stato risuscitato da Gesù. E questo avvenimento non dipende per nulla da lui. Anzi: lui era morto e rinchiuso in una tomba da quattro giorni. Lazzaro è testimone, al pari di Elisabetta, delle grandi opere compiute da Dio in lui. È testimone perché si è lasciato resuscitare da Gesù, perché si è «lasciato creare nuovo» da un Altro. Ancora una volta siamo di fronte a un essere umano che dice – con la sua sola presenza – l’Onnipotenza di Dio all’opera.
Anche nel periodo di vacanza, quando possiamo decidere liberamente del nostro tempo, quando più che in ogni altro periodo dell’anno traspare cosa ci sta a cuore, siamo chiamati a essere testimoni di un Altro che opera in noi, che agisce in noi e che ci rende sempre nuove creature. Si capirà da come guarderemo gli altri, noi stessi e la realtà tutta. Non dovremo sforzarci o impegnarci particolarmente: se, docilmente, lasceremo agire Cristo in noi e ci «lasceremo fare» da Lui, anche la nostra vita annuncerà al mondo «che non c’è nessuno Onnipotente eccetto Lui» (san Francesco, Lettera a tutto l’Ordine).
Eco di Terrasanta 4/2018
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