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Passaggio a Samarcanda

Giampiero Sandionigi
20 luglio 2018
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In viaggio con Terrasanta. Siamo in Uzbekistan, terra di condottieri spietati, ma anche di incontri fra popoli, culture e arti. Con monumenti di bellezza rara.


Un sondaggio Gallup realizzato nel 2017 in 142 Paesi, con 148 mila interviste, pone l’Uzbekistan al quinto posto – dopo Singapore, Norvegia, Islanda e Finlandia – nella classifica dei Paesi più sicuri al mondo (l’Italia si piazza 66.ma). Secondo gli intervistati, da quelle parti si può tranquillamente girare anche di notte senza alcun timore. In realtà le tenebre uzbeke possono essere insidiose. Negli angoli meno illuminati delle città più visitate, il turista poco guardingo rischia di finire in una buca o in un canale di scolo che costeggia la carreggiata. Detto questo, l’Uzbekistan – nei luoghi che mette in vetrina – appare effettivamente ben presidiato dalle forze dell’ordine e abitato da una popolazione amichevole.

Ma perché ci troviamo, con un gruppetto di lettori di Terrasanta, in una terra apparentemente così lontana dai luoghi biblici? Cosa ci ha sospinto nelle steppe e nei deserti dell’Asia Centrale?

Legami antichi

Non basta dire che la destinazione è relativamente economica per chi si muove con gli euro in tasca. Il suo passato e la sua geografia sono evocativi e percorrendo le strade dell’Uzbekistan capisci che, in qualche modo, il Paese ti era già familiare. Basta qualche nome: Samarcanda, capitale suggestiva e leggendaria del regno di Tamerlano, ma antica almeno quanto Roma e Babilonia; la Via della Seta (percorsa da Marco Polo e da generazioni di commercianti e missionari cristiani e musulmani), che dalle parti di Bukhara, importante snodo commerciale, si raccordava con la Via dei lapislazzuli e la Via delle spezie; Avicenna, il filosofo e medico musulmano, nato qui nel X secolo, ai cui scritti sono debitrici la medicina e la filosofia del Medio Evo europeo; Muhammad Ibn Musa al-Khorezmi, matematico nato nell’VIII secolo a Khiva, che compose un trattato fondamentale sull’algebra, introdusse la cifra 0 nei calcoli e che presta il nome all’algoritmo: il vocabolo non è infatti che la latinizzazione di al-Khorezmi, cioè originario della regione del Khorezm, dove sta appunto la bruna Khiva, ancor oggi caratterizzata dalle antiche mura in fango e creta.

Nel corso della Storia queste terre hanno visto condottieri spietati e scorribande sanguinarie, ma anche incontri fra popoli, culture, religioni e arti che hanno dato origine a monumenti di bellezza rara, come le madrasse rivestite di maioliche variopinte che incorniciano la piazza del Registan a Samarcanda, o l’imponente minareto Kalon a Bukhara, che neppure Gengis Khan osò oltraggiare, o quel gioiellino d’epoca samanide (X secolo) che è il mausoleo di Ismail Samani, rimasto intatto perché a lungo seppellito da una collina di sabbia creata apposta per nasconderlo alle orde nemiche. L’elenco di meraviglie potrebbe continuare. Da quando è diventato indipendente, nel 1991, l’Uzbekistan fa del suo meglio – a volte calcando un po’ la mano coi restauri – per mettere le sue bellezze sul mercato del turismo di massa internazionale.

L’Uzbekistan che cambia

Lo Stato è laico, ma gli uzbeki sono in gran parte musulmani sunniti (della corrente sufi). Il governo vieta alle donne di velarsi il viso, segnale di preoccupazione rispetto alle tentazioni islamiste, che pure qui serpeggiano. Nel 1998 prese vita nella valle di Fergana il Movimento islamico dell’Uzbekistan con l’obiettivo di creare uno stato confessionale fondato sulla sharia (le norme religiose musulmane) rovesciando il regime di Islam Karimov. Il movimento gravitò inizialmente intorno ad al Qaeda e ai talebani, successivamente si è allineato con il sedicente Stato islamico. Ha basi operative e appoggi anche nei Paesi circostanti (Takgikistan, Kirgizistan, Afghanistan, Pakistan), ma non ha sfondato. La repressione nei confronti degli islamisti, o presunti tali, è stata dura.

D’altronde, i 33 milioni di abitanti della repubblica centrasiatica hanno alle spalle 70 anni di comunismo ateo e a recarsi in moschea è solo un quarto dei musulmani. Nei mercati si vendono carne di maiale e alcolici, molti dei quali (vodka, vino, birra) prodotti nelle verdeggianti regioni orientali del Paese. Ogni cittadino è libero di scegliere il proprio credo.

Da secoli nella città di Bukhara vive – anzi ormai sopravvive, numericamente esangue – una comunità di ebrei sefarditi. Con le sue 10 mila sepolture, il loro cimitero testimonia un passato florido, ma gli ebrei vivi in città sono, al più, un centinaio. Gli altri sono emigrati negli Stati Uniti, in Israele e in Australia negli anni Settanta e Novanta del secolo scorso. Con numeri così esigui i praticanti sono pochi perché è sempre più arduo attenersi alle norme alimentari ebraiche e raggiungere il minimo di dieci fedeli maschi (minyan) necessari per la preghiera corale in sinagoga. La comunità ebraica, comunque, non è, e non si sente, discriminata o minacciata dai connazionali musulmani.

Anche qui una piccola Chiesa

Con il dissolversi dell’Unione Sovietica (Urss) in Uzbekistan hanno riacquistato visibilità anche i cattolici. Il primo aprile 2005, un giorno prima che morisse san Giovanni Paolo II, la Santa Sede annunciò la creazione dell’amministrazione apostolica, una giurisdizione – ufficialmente registrata e riconosciuta dal governo – che non ha il rango di diocesi per via delle ridotte dimensioni della comunità, originariamente composta da non uzbeki trasferitisi qui più o meno liberamente (in molti casi deportati da Stalin): parliamo di poche migliaia di fedeli, ma i praticanti sono 600 o 700 e gravitano sulle città dotate di chiese: Tashkent, Urgench, Bukhara, Samarcanda e Fergana.

La missione è affidata ai Frati minori conventuali. I religiosi sono una decina, non tutti preti. Accanto a loro anche nove Missionarie della Carità, le suore di Madre Teresa di Calcutta. A Tashkent, presso la chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù, incontriamo il vescovo monsignor Jerzy Maculewicz (63 anni), polacco nato in Ucraina, quand’era parte dell’Urss. Ci spiega che una chiesa cattolica venne costruita a Fergana già in epoca zarista; quella di Samarcanda ha festeggiato i cent’anni di costruzione nel 2016; a Tashkent si cominciò a edificare l’attuale cattedrale nel 1912, ma poi la morte del sacerdote responsabile e la rivoluzione bolscevica del 1917 bloccarono per lungo tempo ogni sviluppo.

«Testimonio – dice il presule – che i musulmani dell’Uzbekistan accettano la presenza delle altre culture e religioni. D’altronde tutta la storia dell’Asia centrale è stata caratterizzata da una varietà di nazioni: qui in Uzbekistan e nel vicino Kazakhistan coabitano oltre cento nazionalità».

«Siamo una piccola Chiesa – riconosce il vescovo – e devo dire che molti cristiani lasciano il Paese, soprattutto per ragioni economiche. Si trasferiscono in Kazakhstan, Russia, Ucraina, Polonia e altri Paesi alla ricerca di migliori prospettive per sé e per i figli. Ogni anno abbiamo nuovi catecumeni e battesimi. In genere non sono conversioni dall’Islam, ma da persone fin qui atee o agnostiche. Di tanto in tanto qualcuno arriva a noi dopo aver ricevuto il battesimo nella Chiesa ortodossa o protestante».

«Vivo qui da dodici anni – conclude mons. Maculewicz – e solo una volta mi è capitato di incontrare un musulmano, un po’ fuori di testa, che se la prendeva con noi cristiani. Viaggio spesso in treno e la gente che incontro si interessa a quello in cui crediamo. Per loro è un problema che noi consideriamo Gesù Cristo non solo un grande profeta, ma anche Dio. Per il resto c’è curiosità sul nostro modo di vivere e di credere. Lo scambio di esperienze risulta interessante».

 


 

Con Mirziyoyev il riformatore è disgelo per la libertà religiosa

Dal 1989 al 2016 l’Uzbekistan è stato governato, con pugno di ferro, da Islam Karimov, giunto ai vertici dello Stato come segretario generale del partito comunista quando il Paese era ancora una delle 15 repubbliche dell’Unione Sovietica. Karimov divenne capo dello Stato nel 1991, alla proclamazione dell’indipendenza dopo la dissoluzione dell’Urss. L’era Karimov, caratterizzata da limitazioni alle libertà personali e d’opinione, s’è chiusa il 2 settembre 2016 con la morte del presidente. A sorpresa, il successore, Shavkat Mirziyoyev, già uomo di punta dell’apparato karimoviano, si dimostra un riformatore. In un rapporto del marzo scorso, il relatore speciale delle Nazioni Unite in materia di libertà religiosa Ahmed Shaheed – che ha visitato il Paese centrasiatico nell’ottobre 2017 – riconosce i progressi fatti, ma auspica nuovi passi.

Il governo uzbeko scoraggia l’educazione religiosa dei minori e vigila sugli estremisti, considerati una minaccia alla pace sociale. Secondo Shaheed, per scongiurare abusi, la definizione di “estremista” andrebbe meglio precisata. Le confessioni professate nel Paese sono 16. Solo le comunità religiose registrate possono agire liberamente, astenendosi dal proselitismo. La libertà religiosa, osserva il rapporto Onu, non è però ancora percepita come un diritto umano a priori, ma piuttosto come una concessione dello Stato all’individuo.

Clicca qui per leggere La lunga tomba di Daniele (su uno dei luoghi tipici di Samarcanda)

L’Uzbekistan è tra le destinazioni proposte dall’Ufficio pellegrinaggi della Custodia di Terra Santa e dall’agenzia FrateSole Viaggeria francescana.

Aggiornamento: dal 18 luglio 2018 è possibile entrare in Uzbekistan come turisti dotandosi di un visto di ingresso elettronico. Lo comunica l’ambasciata uzbeka in Italia. Clicca qui per la notizia.

 

Terrasanta 4/2018
Luglio-Agosto 2018

Terrasanta 4/2018

Il sommario dei temi toccati nel numero di luglio-agosto 2018 di Terrasanta su carta. Tutti i contenuti, dalla prima all’ultima pagina, ordinati per sezioni. Buona lettura!

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