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Le monarchie del Golfo aprono ad Assad

Fulvio Scaglione
5 ottobre 2018
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Dall'Assemblea Generale dell'Onu, a New York, il ministro degli Esteri del Bahrein, ha inviato segnali di apertura al governo siriano, all'insegna del realismo politico. Dialogo con Assad?


«Il governo siriano è il governo della Siria e noi lavoriamo con gli Stati sovrani, anche se non siamo d’accordo con loro, e non con quelli che cercano di abbatterli». Chi può aver pronunciato parole simili? Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri della Russia? O forse il suo omologo iraniano, Mohammad Javaf Zarif? Né l’uno né l’altro, bensì Khalid bin Ahmed Al-Khalifa, ministro degli Esteri del Bahrein oltre che membro della famiglia reale che domina il piccolo regno del Golfo Persico.

Il Bahrein ha la maggioranza della popolazione composta da sciiti, che sono però sottoposti al dominio della minoranza sunnita rappresentata, appunto, dagli Al-Khalifa. Nel 2011, come molti altri Paesi del Medio Oriente, anche questo fu scosso dalle manifestazioni della Primavera araba. Dopo decine di morti e centinaia di arresti arrivò l’esercito dell’Arabia Saudita a reprimere i moti.

Questo per dire che una simile dichiarazione, emessa sotto i riflettori della recente sessione dell’Assemblea generale dell’Onu da parte di un membro della famiglia reale che, per di più, prima di diventare ministro è stato anche un navigato diplomatico (Khalid bin Ahmed Al-Khalifa è stato in passato anche ambasciatore negli Usa e nel Regno Unito), non può essere una «voce dal sen sfuggita», per dirla con Metastasio. Ancor più difficile che un simile annuncio non sia stato in qualche modo concordato dal Bahrein con gli altri membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, ovvero Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman e Kuwait.

È lecito pensare, quindi, che nella diplomazia araba qualcosa stia bollendo in pentola. Se poi colleghiamo questo episodio alla riapertura delle rotte commerciali terrestri tra Giordania e Siria con l’annunciata riapertura del valico di Nasseb (che consente il transito di 7 mila camion al giorno) e i ripetuti inviti di Abdel Fattah Al Sisi, il generale che in Egitto si è fatto presidente, a ricostruire un rapporto con la Siria, la sensazione si fa ancora più forte.

Diverso è, invece, capire perché nei Paesi che hanno tanto lavorato per far crollare Assad ora si faccia strada una sia pur minima disponibilità al dialogo. Perché è ormai evidente che Assad non cadrà? O perché continuare a isolarlo significherebbe spingerlo ancor più tra le braccia dell’Iran e dei suoi pasdaran, che sono l’arcinemico dei Paesi governati dai sunniti? Solo il tempo ci darà la risposta. Certo è che la guerra di Siria, dopo lo stallo di Idlib e i patteggiamenti tra Russia e Turchia, sembra pronta a trasformarsi in una partita a scacchi.

 


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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