«Israele è l’unico Paese a proteggere i diritti umani per tutti. Proteggiamo i diritti religiosi di tutti. Lo ha affermato il primo ministro israeliano, durante il secondo incontro annuale dei media cristiani, che ha riunito a Gerusalemme circa 150 giornalisti stranieri, prevalentemente evangelici, organizzato a metà ottobre dal servizio stampa del governo. «Non proteggiamo solo i siti cristiani, ma proteggiamo anche i cristiani. I cristiani devono essere in grado di godere della libertà di culto, come desiderano, in Medio Oriente e in qualsiasi altro luogo», ha detto colui che ha presentato domenica Israele come l’ultimo baluardo della presenza cristiana nella regione. Benjamin Netanyahu ha anche affermato che «Israele è l’unico Paese del Medio Oriente in cui la comunità cristiana prospera e si sviluppa», criticando in questo modo il trattamento dei cristiani da parte dell’Autorità palestinese.
Per illustrare questo punto, il leader israeliano ha affermato che il numero di cristiani nella città di Betlemme si è ridotto a un quarto dal 1995, anno del trasferimento all’Autorità palestinese in base agli accordi di pace di Oslo. La comunità cristiana sarebbe passata dall’80 per cento al 20 per cento della popolazione. Perciò, secondo il leader israeliano, dopo 23 anni, la popolazione di Betlemme è all’80 per cento musulmana. «Questo cambiamento – ha spiegato – è avvenuto perché nelle zone dell’Autorità palestinese, così come in tutto il Medio Oriente, i cristiani sono soggetti a restrizioni, pressioni e persecuzioni».
«Un altro tentativo israeliano di distorcere la realtà dell’occupazione israeliana»
Una dichiarazione definita «vergognosa» dal sindaco di Betlemme, che ha accusato in un comunicato il primo ministro israeliano di ergersi a «protettore del cristianesimo». Per Anton Salman, che è cristiano, Benjamin Netanyahu «usa i cristiani per i suoi discorsi islamofobici». Ha invitato il primo ministro a smettere di «adoperare i cristiani come strumento per dare una ripulita all’occupazione». Il sindaco nel suo comunicato ha inoltre invitato i leader delle chiese di Gerusalemme e della Santa Sede «a far sentire la loro voce contro l’uso della religione per scopi politici».
L’avvocato Anton Salman non ha mancato di condannare «un altro tentativo israeliano di distorcere la realtà dell’occupazione e, in particolare, gli effetti della politica di Israele sulla comunità cristiana palestinese dopo il 1948». Volendo mettere i puntini sulle «i», ha affermato che «la diminuzione della percentuale di cristiani a Betlemme, così come nel resto della Palestina, è stata causata dalla Nakba (catastrofe) del 1948 e continua a causa dei piani e della politica coloniale israeliana iniziata nel 1967. Il sindaco ha citato anche il caso di Gerusalemme Ovest, dove una grande comunità cristiana palestinese è stata espulsa dai quartieri di Ein Karem, Talbiya, Qatamon, per citarne alcuni. «Su 31 mila cristiani presenti nel 1948, a Gerusalemme sono rimasti solo 12 mila», ha scritto il sindaco di Betlemme.
Il primo cittadino della città palestinese ha aggiunto che «se il signor Netanyahu fosse preoccupato per la situazione dei cristiani palestinesi, soprattutto nella zona di Betlemme, restituirebbe i 22 mila dunam (ettari) di terreni betlemmiti annessi illegalmente a Israele per consentire l’espansione degli insediamenti». Non solo, ha aggiunto che «smantellerebbe il muro che separa Betlemme da Gerusalemme per la prima volta in 2000 anni di cristianesimo e smetterebbe di imporre restrizioni al movimento dei palestinesi, tra cui migliaia di cristiani che vivono in esilio e il cui ritorno è impossibile». È il caso, ricorda il sindaco, di almeno 20 mila cristiani palestinesi della regione di Betlemme che vivono attualmente in Giordania.
Il sindaco rimprovera anche al primo ministro israeliano di essersi opposto al riconoscimento della chiesa della Natività come patrimonio mondiale dell’Unesco e di aver sostenuto la costruzione di Jabal Abu Ghneim (Har Homa), «uno degli insediamenti più dannosi che circondano Betlemme», perché crea una separazione di fatto tra Gerusalemme e Betlemme e «rende impossibile pianificare il futuro della nostra città».
Anton Salman ha anche criticato «la politica persecutoria», in particolare fiscale attuata a Gerusalemme, vista dalle chiese cristiane come un tentativo di vuotare la città dalle istituzioni cristiane. Lo scorso febbraio queste ultime avevano chiuso per tre giorni il Santo Sepolcro in segno di protesta.
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