È deciso. Sui muri delle scuole del governatorato di Qalyubia, in Egitto, spariranno Topolino e Paperino. Al loro posto virili eroi e patrioti in divisa dell'esercito egiziano. Il dibattito è aperto.
Basta Walt Disney! È tempo di dare un taglio a certe mollezze. Così, in Egitto, a scuola si farà sul serio e Topolino, ormai, non potrà più campeggiare sui muri, né tantomeno sedersi sui banchi. Al suo posto, verranno incoraggiati cartoni, affreschi, disegni e poster di eroi nazionali, soldati, uomini veri che non devono chiedere mai.
La notizia viene dal governatorato di Qalyubia che ha deciso che ogni immagine di Topolino & friends, ossia Paperino, nonna Papera, zio Paperone e chi più ne ha più ne metta, debbano essere vietate nelle scuole dell’infanzia. La fonte è il sito Youm7, che riferisce anche quale debba essere il rimpiazzo: generali, militari, soldati armati fino ai denti e pronti a morire per la patria. Ovviamente, egiziani. E ovviamente già morti.
Il governatore Alaa Abdul-Halim Mohammed Marzouk avrebbe spiegato la ragione didattica alla base della misura: «I nostri bambini hanno bisogno di modelli diversi e questi personaggi di marca americana rischiano di diminuire il patriottismo dei nostri bambini e di non sviluppare convenientemente l’amore per il nostro Paese». Dal decreto si passerà alla fase due, ossia alla sua applicazione, con un rigido controllo e parecchie mani di bianco su tutte le pareti delle scuole, spesso affrescate, anche all’esterno, con queste immagini, Winnie the Pooh compreso.
La misura è chiaramente un’applicazione dell’imprinting militare del governo dell’ex generale al-Sisi nel campo dell’educazione, per creare una base di consenso forte che parta dalle giovani generazioni e garantisca al governo dei militari anche un solido futuro. Tra le immagini dei martiri papabili, ci sarebbero, ad esempio, tutti i caduti nella penisola del Sinai, ossia negli scontri (recenti e non) tra i militari dell’esercito egiziano e gli estremisti dei gruppi del terrore. Le famiglie di questi militari hanno già ricevuto gli onori del caso e le vittime sono state salutate con i funerali di Stato.
La misura non ha trovato tutti i cittadini egiziani compatti e pronti ad accettarla. Sui social media è in corso un ampio dibattito: parecchi utenti puntano il dito contro il governo e affermano che il ministero dell’Istruzione dovrebbe occuparsi più del fatto che le scuole cadono a pezzi, che dei murales decorati a topolini e paperini. Il giornalista Mohamed Ragab ha scritto: «Qualcuno dovrebbe dire a sua eccellenza il governatore che questa decisione lo sta trasformando nel personaggio di un cartoon». Naturalmente non mancano gli egiziani a favore, in nome di un’educazione all’antica, patriottica, sovranista e anti-americana.
Sulla vicenda non è ancora stata scritta la parola “fine” ma, vista l’elevata corruzione a vari livelli nel Paese, molti scommettono che tra i personaggi Disney, se spariranno paperi e papere, non verrà nemmeno sfiorata l’intera Banda Bassotti.
Perché Diwan
La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.
Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.
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Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen). È corrispondente da Sana’a per varie testate straniere.
Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu). Cura il programma Cous Cous Tv, sulle televisioni nel mondo arabo, per TV2000.
Ha girato, autoprodotto e venduto otto video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).