È al centro di uno scandalo, ma si dichiara innocente. Era convinto di aver venduto la sua casa in Gerusalemme vecchia a un palestinese, e invece da un mese vi abitano degli ebrei israeliani. Adeeb Joudeh spiega di essersi fidato di un intermediario palestinese, che ha subito rivenduto l’immobile a un’organizzazione di coloni israeliana. I Joudeh sono una famiglia ben nota in città: Adeeb (55 anni) ha ricevuto dal padre la responsabilità di custodire la chiave della basilica del Santo Sepolcro. Una chiave passata di mano in mano, generazione dopo generazione, in ossequio a una tradizione la cui prima testimonianza scritta risale al periodo ottomano, anche se, secondo la famiglia Joudeh, la consuetudine si deve a una decisione del califfo Omar del 637, riconfermata in seguito da Saladino (1138-1187).
Si noti che sono due le famiglie musulmane che hanno a che fare con l’accesso al santuario cristiano nel cuore di Gerusalemme: i Joudeh che custodiscono la chiave e i Nusseibeh, che si occupano materialmente delle operazioni di apertura e chiusura del portone della basilica. Due incarichi distinti e complementari originariamente istituiti per neutralizzare le dispute tra le comunità cristiane che rivendicano la custodia della tomba vuota di Cristo. Nella Gerusalemme d’oggigiorno il conflitto tra ebrei israeliani e palestinesi mette in ombra le liti tra le chiese.
Lo stato ebraico considera l’intera città di Gerusalemme come la propria capitale, mentre i palestinesi vogliono fare di Gerusalemme Est (che include la città vecchia) la capitale del loro futuro Stato. I palestinesi e la comunità internazionale non riconoscono l’occupazione di Gerusalemme Est avvenuta con la Guerra dei Sei giorni (1967). Per gran parte della comunità internazionale, le ambasciate non vanno trasferite da Tel Aviv, dove si trovano, finché non sarà raggiunto un accordo sullo status della città, frutto di negoziato tra israeliani e palestinesi.
Intanto, organizzazioni ultranazionaliste ebraiche si adoperano per acquisire immobili palestinesi a Gerusalemme Est, specialmente nel centro storico, da assegnare a coloni israeliani ebrei. Queste organizzazioni sono accusate di partecipare a un processo di “ebraicizzazione” dei quartieri storicamente musulmani, cristiani e armeni della Città Santa. Le trattative per la compravendita vengono per lo più effettuate nella massima discrezione, tramite società finanziarie off-shore (il più delle volte anonime).
A riprova della delicatezza dello scandalo venuto alla luce la scorsa settimana, il quotidiano israeliano Haaretz riferisce che un predicatore della moschea di Al-Aqsa ha emesso una fatwa che proibisce ai musulmani di trasferire proprietà palestinesi agli ebrei israeliani.
Considerato il ruolo storico che da secoli la famiglia di Adeeb Joudeh riveste nella città vecchia di Gerusalemme, capiamo perché la vendita della sua casa, che si trova nel quartiere musulmano vicino alla Spianata delle moschee (o Monte del Tempio per gli ebrei), le attiri tante invettive. Un suo immobile, pensano in molti, non avrebbe dovuto finire nelle mani di un’associazione israeliana che lavora per la colonizzazione di Gerusalemme Est come Ateret Cohanim.
Secondo Haaretz, che ha consultato il catasto, un intermediario palestinese, di nome Khaled Atari, ha acquistato la casa in aprile per 2,5 milioni di shekel (603 mila euro), per poi rivenderla, il giorno stesso, alla società Daho Holdings, registrata su un’isola caraibica (paradiso fiscale). Da lì è giunta nella disponibilità di Ateret Cohanim, riferisce Le Figaro.
L’ex proprietario si trova in acque agitate e fa di tutto per dimostrare la propria innocenza. Per lui, il vero colpevole è il broker che ha realizzato la transazione immobiliare. Citato da Le Figaro, il guardiano della chiave del Santo Sepolcro afferma di essere stato «tradito» dall’acquirente. Adeeb Joudeh avrebbe messo la sua casa in vendita già nel 2012. «Mi sono rivolto prima al Waqf (la fondazione che amministra i beni religiosi musulmani nei luoghi santi di Gerusalemme) e ad altre società palestinesi, ma nessuno ha manifestato interesse. Noi volevamo che l’edificio rimanesse in buone mani, sotto il controllo palestinese, ma nessuno lo ha voluto acquistare», ha spiegato dalle colonne di Haaretz.
Due anni fa mostrò interesse all’acquisto della proprietà di Adeeb Joudeh un attivista palestinese che viveva negli Stati Uniti, Fadi Al-Salamin. L’uomo d’affari è notoriamente vicino a Mohammed Dahlan, dirigente politico palestinese nemico giurato del presidente Mahmoud Abbas, che accusa di corruzione. Haaretz spiega che l’Autorità nazionale palestinese (Anp) s’è messa di traverso per impedire la transazione… «Quando s’è fatto avanti il banchiere Khaled Atari (l’intermediario a cui ci riferivamo sopra – ndr), ho consultato le autorità palestinesi e i notabili della città che mi hanno dato il via libera. Mi è stato detto che potevo fidarmi di lui», si difende Adeeb Joudeh in un virgolettato riportato da Le Figaro. Atari è noto per avere legami con alti funzionari dell’Anp, in particolare con il capo dell’intelligence Majad Faraj, candidato alla successione di Mahmoud Abbas.
Non c’era bisogno d’altro perché lo scandalo politico-familiare scoppiasse in tutta Gerusalemme est: alla notorietà della famiglia Joudeh s’aggiungeva anche un possibile coinvolgimento di alti funzionari dell’Anp. Secondo il media arabo al-Monitor, il primo ministro palestinese Rami Hamdallah ha istituito una commissione per chiarire il caso, mentre il ministro palestinese per le questioni di Gerusalemme, Adnan Husseini, ha riferito allo stesso giornale che, visti i problemi sorti con la casa di Adeeb Joudeh, sarebbe preferibile che le chiavi della basilica del Santo Sepolcro fossero affidate a qualcun altro. Che potrebbe essere un altro membro della stessa famiglia, cosa che consentirebbe il rispetto dello status quo.
Secondo il quotidiano Haaretz del 4 novembre, un ramo della famiglia Joudeh ha diramato una dichiarazione dove dice che si è tentato di togliere la chiave del Santo Sepolcro ad Adeeb Joudeh, ma lui ha rifiutato di cederla. Sfidando le pressioni della famiglia, della strada palestinese, dei politici e persino qualche minaccia di morte (sempre stando a Haaretz), Adeeb Joudeh ha dichiarato ad al-Monitor d’essere onorato di aver ricevuto la chiave delle precedenti generazioni e di non aver alcuna intenzione di rinunciarvi. «Mio padre aveva le chiavi. Suo padre prima di lui. Io stesso consegnerò volentieri le chiavi al mio figlio maggiore quando verrà il momento, seguendo la tradizione nella nostra famiglia».