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Le sfide della Siria che si rimette in piedi

Matteo Colombo
17 dicembre 2018
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Le sfide della Siria che si rimette in piedi

La Siria inizia a fare i conti della ricostruzione. Il governo di Damasco vara norme, come la Legge 10, che però non agevolano i profughi. Far valere i diritti di proprietà sugli immobili non sarà facile.


Il governo siriano ha recentemente approvato la legge 10, una controversa serie di norme per regolare la ricostruzione di alcuni quartieri della regione di Damasco, che sarà probabilmente estesa ad altre aree del territorio nazionale. La formulazione iniziale della legge concedeva ai siriani 30 giorni di tempo per reclamare il possesso di una casa o di un terreno, ma il presidente Bashar al Assad ha poi deciso di estendere questo periodo a un anno. La sua decisione segue diverse critiche alla legge, comprese quelle dell’organizzazione Human Rights Watch.

In particolare, gli oppositori sottolineano come queste norme rendano molto difficile ottenere il riconoscimento dei diritti di proprietà. La modalità per confermare il possesso di una o più proprietà è, infatti, di recarsi nella città o nel villaggio in cui si possiede un immobile o di delegare la pratica a un parente. Tuttavia, questo procedimento è molto rischioso per quasi undici milioni di siriani che hanno dovuto lasciare le proprie case, circa la metà della popolazione totale prima del conflitto. Molti rifugiati o sfollati interni non hanno la possibilità né di tornare nel loro luogo in cui avevano la residenza prima del 2011, né di delegare la commissione burocratica a un parente. Tra loro ci sono quasi tutti i 5 milioni di siriani che si trovano all’estero, in particolare in Turchia (3,6 milioni), Libano (951 mila) e Giordania (673 mila), e una parte dei sei milioni di sfollati presenti all’interno del territorio nazionale. Tra questi ci sono sia i siriani fuggiti dalle persecuzioni dei gruppi jihadisti per cercare rifugio nei territori controllati dal governo, sia i siriani che sono scappati dalle violenze delle forze lealiste per ottenere protezione nei territori controllati dalle milizie ribelli. I primi sarebbero in grado di reclamare le loro proprietà senza particolari difficoltà, mentre i secondi rischierebbero di essere considerati dei traditori della patria o di mettere a rischio la reputazione dei parenti.

Diversi cittadini hanno infatti abbandonato le loro case per evitare il servizio militare obbligatorio, che dall’inizio del conflitto non ha più una vera e propria data di conclusione. Tale reato è punito con l’arruolamento forzato ma, secondo la legge, la pena include potenzialmente 260 giorni di prigione. Un altro problema è che molti siriani non possono dimostrare di avere abitato la casa da cui sono fuggiti prima del 2011. Un recente sondaggio condotto dal Consiglio norvegese per i rifugiati indica che soltanto il 17 per cento dei profughi riparati all’estero e il 9 per cento degli sfollati che si trovano ancora all’interno dei confini nazionali possiede i documenti necessari per dimostrare il possesso delle sue proprietà. Inoltre, i registri delle abitazioni nelle zone controllate dagli oppositori di Assad sono stati distrutti, mentre alcune delle case sono state occupate dai miliziani armati e dalle loro famiglie.

Bisogna poi sottolineare che diverse costruzioni presenti nella periferia delle grandi città non sono mai state registrate negli anni precedenti al conflitto. Ad esempio, si stima che nel 2004 circa il 40 per cento della popolazione vivesse in insediamenti informali nella zona di Damasco. Spesso i quartieri dove sorgono le abitazioni abusive sono stati gli epicentri della protesta contro Assad e perciò parecchie delle case presenti in queste zone sono state danneggiate o distrutte. Infine, molti rifugiati e sfollati interni corrono il rischio di essere accusati d’aver preso parte a manifestazioni anti-regime o di aver avuto rapporti con i miliziani nelle zone controllate dai ribelli. Tali denunce li esporrebbero a gravi rischi personali e potrebbero mettere in pericolo la reputazione dei loro parenti in un sistema fortemente clientelare come quello di alcune zone della Siria.

Un altro tema su cui si concentrano gli oppositori della legge 10 è quello della demografia. Le norme confermano altre due disposizioni (decreti 63 e 66 del 2012), che consentono al ministero delle Finanze di prendere possesso delle proprietà di coloro che sono indicati come “terroristi” o di abbattere gli insediamenti informali nelle zone designate come “aree di sviluppo”. Gli oppositori ritengono che queste due norme, insieme alla legge 10, potrebbero essere usate per cambiare l’equilibrio demografico in alcune parti della Siria. Il motivo è che una parte delle case in possesso a persone qualificate come terroristi saranno date ai miliziani stranieri che hanno combattuto al fianco dell’esercito siriano per premiarli del loro servizio alla nazione. Inoltre, l’Iran e la Russia, i principali alleati di Assad, potrebbero avere un forte interesse a far ottenere il riconoscimento della cittadinanza siriana ad alcuni dei loro ex combattenti o cittadini più importanti per influenzare la politica interna. Il governo siriano potrebbe accettare di estendere la cittadinanza anche agli stranieri che hanno combattuto per difendere Assad e alle loro famiglie al fine di rafforzare le forze armate. La Siria, infatti, non ha abbastanza soldati per controllare il suo territorio, essendo il numero totale di persone arruolate nell’esercito oggi molto lontano dai 250mila uomini del periodo precedente alla guerra. Inoltre, il governo potrebbe concedere la cittadinanza ad alcuni stranieri in grado di contribuire alla ricostruzione, visto che molti ingegneri e gli esperti di costruzioni siriani sono fuggiti all’estero nelle prime fasi del conflitto. Bisogna poi aggiungere che il governo siriano è troppo debole per opporsi alle richieste di Iran e Russia, due Paesi che sono stati decisivi nel determinare la vittoria militare di Assad. Infine, diversi rifugiati che hanno partecipato a vario titolo ai movimenti di opposizione, sia all’interno delle milizie armate sia come attivisti della società civile, rischiano di non vedere riconosciuti i diritti sulle loro precedenti proprietà. Tra loro ci sono soprattutto dei siriani che appartengono alla maggioranza arabo sunnita (circa il 70 per cento della popolazione prima del conflitto), da dove proviene gran parte degli oppositori di Assad.

Infine, c’è il tema della ricostruzione materiale del Paese. La Siria si trova in una situazione economica drammatica, che rende necessario il contributo di investitori stranieri per tornare alle condizioni economiche precedenti al conflitto. La Banca mondiale stima che il costo della guerra, comprensivo sia della perdita del Prodotto interno lordo sia dei costi di ricostruzione, ammonti a circa 226 miliardi di dollari. Questo onere è insostenibile per un Paese che ha perso il 57 per cento del Pil tra il 2010 e il 2015, dove la popolazione sotto il livello di povertà ha raggiunto l’83 per cento del totale nel 2015. Senza investitori esteri servirebbero decine di anni anche solo per ricostruire le abitazioni dei cittadini siriani danneggiate o distrutte, stimate in circa il 27 per cento del totale dalla Banca mondiale. In questo scenario, le aziende iraniane, in particolare quelle legate alla Guardia Rivoluzionaria, e quelle russe sono pronte a giocare un ruolo di primo piano.

Ottenere il controllo di molti progetti di ricostruzione significherebbe ripagarsi dello sforzo bellico degli ultimi sei anni e rafforzare l’influenza sul Paese anche in ambito economico. Tuttavia, anche altri Paesi sono pronti a giocare un ruolo di primo piano nella ricostruzione, compresi quelli che si erano opposti ad Assad nelle prime fasi del conflitto. Tra loro c’è la Turchia, ma anche diversi Paesi occidentali e del Golfo. Il governo siriano punta a concedere agli ex nemici di partecipare alla ricostruzione in cambio della piena riabilitazione politica. Una strategia che ha già portato i primi frutti, come testimonia la probabile riapertura dell’ambasciata degli Emirati Arabi Uniti nelle prossime settimane. Altri Paesi potrebbero prendere decisioni simili nei prossimi mesi, quando i nemici di ieri torneranno a considerare Assad il legittimo rappresentante della Siria per prendere parte al grande business della ricostruzione.

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