(c.l./g.s.) – «La domanda da un milione di dollari è: tengo in mano un timbro (l’impronta di un sigillo – ndr) dello stesso Netan-Mèlech che è menzionato nella Bibbia?». Anat Mendel-Geberovich, dell’Università ebraica di Gerusalemme, sorride in un video dell’Autorità israeliana per le antichità pubblicato nei giorni scorsi. «Bene – dice la studiosa, che lavora anche per il Centro per lo studio della Gerusalemme antica –, non potremo mai dirlo con certezza».
Il piccolo sigillo in argilla di un centimetro quadrato, che lei stessa ha decifrato, è stato rinvenuto nel sito archeologico della Città di Davide (a Gerusalemme Est, nel quartiere palestinese di Silwan) durante gli scavi condotti da archeologi dell’Autorità israeliana per le antichità e dell’Università di Tel Aviv.
Secondo gli archeologi, risale a un periodo compreso tra la metà del VII secolo e l’inizio del VI secolo a.C., all’epoca del primo Tempio giudaico. Il sigillo reca la seguente iscrizione: «(appartenente) a Netan-Mèlech, servo del re». Si tratterebbe della conferma archeologica del nome biblico di Netan-Mèlech. Il nome appare una sola volta nella Bibbia: nel Secondo libro dei Re (al capitolo 23, versetto 11), dove viene descritto come un funzionario alla corte di Giosia, re di Giuda noto per le riforme religiose promulgate anche contro idoli come il Vitello d’oro.
Anat Mendel-Geberovich si mantiene cauta, ma ammette che «c’è un accavallarsi» di indizi coincidenti. «Anzitutto – osserva – il nome Netan-Mèlech è raro. In secondo luogo, il periodo di cui parliamo è la metà del VII secolo a.C., ai tempi di re Giosia (il cui regno va da 640 al 609 a.C.). Terzo, l’iscrizione indica la prossimità di Netan-Mèlech al re».
Sigilli e timbri venivano usati nelle antichità per chiudere e firmare lettere e documenti. Abitualmente menzionavano l’identità, la stirpe e lo status dei loro proprietari. Anat Mendel-Geberovich fa notare che l’alto funzionario già citato, viene menzionato sul sigillo semplicemente con il nome, il che fa supporre che fosse noto a tutti e che fosse perciò superfluo citare la sua stirpe. Doveva godere di grande reputazione.
In un comunicato stampa del 31 marzo scorso, l’Autorità israeliana per le antichità riporta una seconda scoperta. Quello di un timbro, anch’esso di pietra calcarea blu di un centimetro quadrato, risalente allo stesso periodo e trovato nello stesso luogo del sigillo di Netan-Mèlech. Vi si legge: «(appartenente) a Ikar, figlio di Mattania». Il nome Mattania (o Mattanyahu, o ancora Mattanya) appare più volte nella Bibbia, e designa diverse persone. Ma in questo timbro, per la prima volta lo si mette in relazione con Ikar, fin qui sconosciuto. Ignoriamo chi fosse il proprietario del timbro.
Le due iscrizioni, in ebraico antico, sono state rinvenute in una grande struttura a due piani, che sembra essere stata distrutta nel VI secolo a.C., «probabilmente durante la distruzione babilonese di Gerusalemme nel 586», sottolinea l’Autorità israeliana delle antichità. «Grandi macerie di pietra, travi di legno bruciate e numerosi pezzi di ceramica carbonizzata fanno pensare a un enorme incendio». L’importanza di questo edificio è notevole per le sue dimensioni e la qualità delle pietre con cui è stato costruito. Il che fa supporre che fosse adibito ad uffici amministrativi.