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Gli asini di Gaza alleati preziosi

Giulia Ceccutti
11 aprile 2025
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Gli asini di Gaza alleati preziosi
Nei pressi di Beit Lahia, nel nord della Striscia di Gaza, un asino traina un pesante carretto con i beni di una famiglia palestinese il 22 marzo 2025. (foto Khalil Kahlout/Flash90)

Saif Alden nella Striscia di Gaza, dall'aprile 2024, coordina una piccola squadra di operatori dell'ong Safe Haven for Donkeys. Ci spiega come gli equini soffrano e lottino per la vita insieme agli umani.


«In un luogo in cui la sofferenza non conosce limiti, gli asini e i cavalli non sono solo animali: sono la salvezza di migliaia di famiglie. Trasportano cibo, acqua e beni di prima necessità. Portano i feriti negli ospedali e aiutano le madri in attesa a mettersi in salvo per partorire. Ho visto asini che abbiamo curato diventare la sola ragione per cui le persone sono sopravvissute, perché le hanno trasportate tra le macerie quando nessun altro mezzo di trasporto era disponibile». A parlare è Saif Alden, che opera nella Striscia di Gaza dall’aprile 2024 e coordina una piccola squadra di intervento e cura per conto di Safe Haven for Donkeys, organizzazione non governativa inglese attiva anche in altri Paesi, tra cui l’Egitto. Stima che attualmente circa il 90 per cento della popolazione di Gaza dipenda dagli asini per il trasporto e la sopravvivenza economica, laddove prima dell’ultima guerra la percentuale era di circa il 15 per cento.

A Gaza, dall’inizio di aprile 2024 a oggi, grazie al dottor Saif e ai suoi collaboratori sono stati curati circa 6.000 asini. A questo numero si aggiunge oltre un migliaio di altri animali, tra cui cavalli, pecore, capre, cani e gatti.

Abbiamo chiesto a questo giovane, decisamente motivato, di descriverci la situazione sul campo dal punto di vista degli animali di cui ogni giorno si prende cura.

Un filo sottile

«Lavoriamo in prima linea, dove la vita e la morte sono separate da un filo sottile e fragile», risponde. E ricorda in primo luogo la clinica temporanea di Safe Haven a Khan Yunis, ridotta in macerie da un recente attacco missilistico. «Con quell’attacco abbiamo perso tutto», spiega. Le uniformi da lavoro, che aiutano a mantenere gli operatori al sicuro, rendendoli ben riconoscibili. Strumenti e forniture mediche come bende e siringhe. Le scorte di farmaci, tra cui antibiotici, antinfiammatori e pomate antisettiche appena acquistati. «Nonostante questo, non ci siamo fermati», racconta. «Ho viaggiato attraverso diverse zone alla ricerca di qualsiasi materiale medico che potesse servirci. Per fortuna siamo riusciti a sostituire buona parte della dotazione andata persa e così stiamo continuando a spostarci per svolgere il nostro lavoro».

La piccola squadra conta, oltre a Saif, un altro sanitario, un maniscalco, un assistente e un volontario. Dal 2024 a oggi è stata attiva in diverse città, tra le quali Rafah, Khan Yunis, Deir al-Balah, Al-Qarara, Al-Nusserat, Al-Mawasi, Meraj.

Sfide immani

Le difficoltà, sia in termini di risorse sia di sicurezza personale, sono numerose. «Lavorando in una zona di guerra, abbiamo scampato per poco la morte in molteplici occasioni», continua il nostro interlocutore. «Con la maggior parte degli edifici distrutti, abbiamo dovuto inoltre operare in condizioni pericolose, spesso curando gli animali in aree aperte ed esposte a bombardamenti».

Gli altri problemi principali riguardano l’approvvigionamento di farmaci per animali, bende e strumenti, divenuto sempre più arduo a causa del blocco degli aiuti in corso; la pressione psicologica cui i componenti della squadra sono sottoposti da mesi; il numero schiacciante di animali feriti, malati, denutriti.

 

«La nostra équipe lavora senza sosta. La mole di sofferenza – sia delle famiglie che lottano per sopravvivere, sia degli animali che muoiono per mancanza di cure – è straziante», conclude Saif. «Nonostante gli sforzi, siamo consapevoli del fatto che il bisogno supera di gran lunga i mezzi a nostra disposizione. Ogni giorno assistiamo a sofferenze immense. Sappiamo pure che non possiamo salvare tutti gli animali che ci vengono affidati».

Essenziali gli aiuti internazionali

Tutti i fondi del progetto provengono da donatori e sostenitori sparsi in vari Paesi. Safe Haven for Donkeys non riceve sostegno diretto sul campo da alcuna ong, né finanziamenti da parte di governi o agenzie internazionali, puntualizza Saif. Andy Foxcroft, amministratore delegato dell’organizzazione, tiene ad aggiungere che la clinica mobile è gestita esclusivamente da Safe Haven, in collaborazione però con l’organizzazione olandese Animal Heroes e la finlandese Animal Aid without Borders. «Mentre Safe Haven si concentra sugli equini – spiega – i nostri partner mettono a disposizione forniture per altri animali, come cani e gatti. Il nostro ultimo carico di aiuti, però, purtroppo è ancora bloccato al confine, in attesa del prossimo cessate il fuoco». Foxcroft precisa anche che è stato fatto un tentativo di entrare in contatto con le organizzazioni delle Nazioni Unite che si occupano di agricoltura e salute degli animali, per ora senza successo.

Un conforto psicologico

Prima di chiudere l’intervista, Saif introduce, da ultimo, il tema degli animali domestici. «In una terra in cui molti hanno perso tutto – casa, famiglia, tutta la propria vita – gli animali domestici talvolta diventano l’unica fonte di conforto e affetto per chi è rimasto. Ho visto l’ultimo membro sopravvissuto di una famiglia aggrapparsi commosso a un gatto o a un cane, l’unico essere vivo rimasto di un’intera famiglia. In questa situazione, gli animali non offrono solo compagnia: a volte danno conforto di fronte a una perdita umana inimmaginabile».

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