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In un sondaggio Gallup le ragioni per lasciare Gaza

Giuseppe Caffulli
24 marzo 2025
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In un sondaggio Gallup le ragioni per lasciare Gaza
Un gruppo di sfollati di Gaza il 21 marzo 2025. (foto Ali Hassan/Flash90)

Un'indagine demoscopica realizzata da Gallup International su un campione di 532 palestinesi della Striscia di Gaza certifica il drastico crollo della qualità di vita e la volontà di molti di lasciare, almeno temporaneamente, quel lembo di terra devastato dalla guerra.


La maggioranza dei residenti di Gaza lascerebbe la zona se ne avesse l’opportunità. Lo sostiene un sondaggio effettuato da Gallup International dal 2 al 13 marzo 2025. L’indagine demoscopica ha rivelato che il 38 per cento degli intervistati opterebbe per un trasferimento temporaneo, il 14 si trasferirebbe permanentemente, e il 4 invierebbe membri della famiglia all’estero.

Il sondaggio, che ha coinvolto un campione di 532 cittadini di Gaza, ha anche evidenziato – non che ve ne fosse bisogno – il continuo deterioramento delle condizioni di vita dall’inizio della nuova fase della guerra il 7 ottobre 2023. La maggior parte degli intervistati ha descritto la propria attuale qualità della vita come «molto scarsa» o «abbastanza scarsa».

I dati sono piuttosto eloquenti. Il 37 per vento degli intervistati non è in grado di tornare nelle proprie case, mentre il 65 ha dichiarato che la propria vita era migliore prima della guerra. Le risorse essenziali sono ancora scarse, con il 75 per cento che segnala la mancanza di elettricità e carburante, il 73 che affronta carenze alimentari, il 66 che ritiene gli alloggi «inadeguati» e più del 60 per cento che denuncia le difficoltà nell’accesso alle cure mediche e alla scuola.

Tra coloro che cercano di trasferirsi, il 30 per cento ha mostrato interesse per i Paesi del Golfo; il 13 per cento preferirebbe altri Paesi arabi in Nordafrica e il 6 per cento prende in considerazione anche Stati a maggioranza musulmana non arabi. Nella classifica delle destinazioni ci sono Egitto (12 per cento), a pari merito Qatar ed Emirati Arabi Uniti (10 per cento), Kuwait (7 per cento) e Turchia (6 per cento). Anche alcuni Paesi occidentali sono tra le mete prese in considerazione: Germania (13 per cento), Canada (7 per cento) e Stati Uniti (6 per cento).

Tra le motivazioni per emigrare, il 79 per cento ha citato il desiderio di garantire un futuro migliore a figli e famiglia in un ambiente di vita più sicuro; subito dopo viene l’esigenza di trovare migliori opportunità lavorative.

Secondo il quotidiano libanese Al-Akhbar, vicino a Hezbollah, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi avrebbe dichiarato che il Paese delle Piramidi sarebbe pronto ad ospitare temporaneamente mezzo milione di gazesi evacuati dalla Striscia. Una notizia smentita da fonti ufficiali egiziane. Ma l’idea del presidente degli Stati Uniti Donald Trump al Cairo di ricollocare gli abitanti di Gaza nei Paesi arabi vicini (Egitto e Giordania in primis), con gli Stati Uniti che avrebbero preso il controllo della Striscia di Gaza, resta sullo sfondo di ogni trattativa, nonostante le prese di posizione diplomatiche contrarie.

A inizio marzo, la capitale egiziana ha ospitato un vertice della Lega Araba in cui è stato presentato un piano di ricostruzione per la Striscia (del valore di 53 miliardi di dollari) che si propone di ricostruire Gaza entro il 2030. E che di fatto rifiuta la proposta di allontanare permanentemente i palestinesi dalla Striscia.

Venerdì 21 marzo il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dichiarato: «Ho dato istruzioni all’esercito di occupare altre aree di Gaza, evacuare la popolazione e ampliare le zone di sicurezza attorno alla Striscia per proteggere le comunità israeliane e i soldati. Più Hamas persisterà nel rifiutarsi di rilasciare gli ostaggi, più territorio perderà. E sarà annesso a Israele». In questo contesto la ricollocazione (forzata o meno) dei palestinesi di Gaza è sempre meno un’ipotesi peregrina.

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