
Si affaccia nuovamente il fantasma della guerra civile in Siria, dopo i violenti scontri della scorsa settimana nella fascia costiera del Paese. L'appello dei patriarchi cristiani ai nuovi governanti, perché tengano fede alle loro promesse.
(g.s.) – Negli ultimi giorni della scorsa settimana in Siria si sono registrati gravi scontri tra le forze di sicurezza del nuovo regime (che includono anche miliziani stranieri di varie provenienze) e gruppi armati della minoranza alawita, di cui faceva parte la famiglia Assad, rimasta al vertice del potere fino all’8 dicembre scorso. Epicentro delle turbolenze è stata soprattutto la fascia costiera del Paese, dove si concentrano gli alawiti lungo il centinaio di chilometri che separano le città di Tartus, a sud, e Latakia, a nord.
Varie fonti riferiscono di massacri diffusi e menzionano centinaia di morti (in buona parte civili) senza essere in grado di fornire cifre precise. Ci ha provato, ieri, dal Regno Unito l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Calcola che dal 6 al 9 marzo – cioè nel picco delle tensioni – avrebbero perso la vita oltre 1.450 persone (973 dei quali civili), nel corso di 39 massacri avvenuti in quattro province. Il numero maggiore di morti (545) si registra nell’area di Latakia, mentre a Tartus sarebbero stati 262, a Hama 156 e 10 a Homs.
Insorti e governativi a parti inverse
Ieri, 9 marzo, il governo provvisorio di Damasco ha dichiarato di aver riportato l’ordine nell’area. In un discorso alla nazione il presidente Ahmed al-Sharaa ha dato la sua versione dei fatti spiegando che attacchi simili non sono nuovi nella regione costiera: «Fin dal primo momento, abbiamo rafforzato l’area con le forze di sicurezza per proteggere la pace civile e prevenire atti di vendetta. Queste forze sono state attaccate, molti sono stati uccisi e bruciati e i residenti sono stati aggrediti. Coloro che hanno commesso questi crimini crudeli sono gli stessi che hanno commesso atrocità contro il popolo siriano negli ultimi 14 anni».
Il capo dello Stato ad interim ha detto che i responsabili dello spargimento del sangue di civili saranno trattati «con fermezza e senza clemenza», così come «coloro che hanno ecceduto con l’autorità dello Stato o sfruttato il potere per i propri interessi. Nessuno sarà al di sopra della legge e tutti coloro le cui mani sono sporche di sangue siriano affronteranno la giustizia più prima che poi». Una commissione di indagine sugli eventi degli ultimi giorni è stata appositamente creata, accanto a un comitato supremo per mantenere la pace civile, «che sarà incaricato dalla presidenza della Repubblica di comunicare direttamente con i residenti della costa siriana, ascoltandoli e fornendo il supporto necessario per garantire la loro sicurezza e stabilità e per rafforzare l’unità nazionale durante questa fase delicata».
Affranti e delusi
Lo sconcerto e la preoccupazione tra i siriani sono palpabili. Lo testimoniano anche le comunicazioni inviate agli amici all’estero da fra Bahjat Karakach, il 7 marzo. «Da ieri – scrive il parroco latino di Aleppo – la situazione è peggiorata gravemente, e oggi nel Paese si respira un clima molto pesante. Negli ultimi giorni, la tensione è aumentata in diverse zone, sia al sud nella città di Suwaida, sia a Jaramana, una periferia di Damasco, entrambe a maggioranza drusa; ma anche nelle città costiere a maggioranza alawita, soprattutto a Jable. Diversi atti di violenza sono stati registrati, fino a quando è arrivato il giorno di ieri (giovedì 6 marzo), in cui è scoppiata una “resistenza” armata contro le forze ufficiali, rifiutate da una larga fetta della popolazione, per presunte azioni di violenza e vendetta nei confronti dei civili delle minoranze».
Il francescano registra che fra i connazionali «si parla di una vera e propria azione militare organizzata dai sostenitori del vecchio regime, sostenuta da forze regionali che avrebbero l’interesse a creare e mantenere uno stato di caos in Siria: da una parte Israele, che avanza nei territorio siriano, cercando di presentarsi come difensore dei drusi contro le forze governative, considerate “milizie terroristiche”; dall’altra parte l’Iran, che pare non voglia accettare la perdita del potere che aveva in Siria al tempo di Assad; senza dimenticare il ruolo della Russia, che resta ambiguo».
Un appello comune dei patriarchi cristiani
Sabato 8, mentre il sangue ancora scorreva, i tre patriarchi cristiani di Antiochia hanno diffuso una dichiarazione congiunta. Il greco ortodosso Youhanna X, il siro Mor Ignatius Aphrem II e il melchita Youssef Absi hanno scritto: «Negli ultimi giorni, la Siria ha assistito a una pericolosa escalation di violenza, brutalità e uccisioni, con attacchi a civili innocenti, compresi donne e bambini. Le case sono state violate, la loro sacralità non è stata rispettata e le proprietà sono state saccheggiate – scene che riflettono chiaramente l’immensa sofferenza patita dal popolo siriano».
«Le Chiese cristiane, pur condannando fermamente qualsiasi atto che minacci la pace civile, denunciano e condannano i massacri di civili innocenti e chiedono la fine immediata di questi atti orribili, che sono in netta opposizione a tutti i valori umani e morali».
Ai governanti, in particolare, i patriarchi e le loro Chiese «chiedono la rapida creazione di condizioni favorevoli al raggiungimento della riconciliazione nazionale nel popolo siriano. Esortano ad adoperarsi per creare un ambiente che faciliti la transizione verso uno Stato che rispetti tutti i suoi cittadini e che ponga le basi per una società basata sull’uguaglianza di cittadinanza e su un’autentica collaborazione, libera dalla logica della vendetta e dell’esclusione. Allo stesso tempo, riaffermano l’unità del territorio siriano e respingono qualsiasi tentativo di dividerlo».
La franchezza di Youhanna X
Ancora più esplicito e diretto il patriarca Youhanna X nell’omelia domenicale di ieri, 9 marzo. A un certo punto – ripromettendosi di parlare con franchezza – si è rivolto direttamente al capo dello Stato ad interim, richiamando gli inizi della nuova fase in Siria. Noi, ha detto il patriarca greco-ortodosso «l’abbiamo benedetta e ci siamo congratulati con lei per la vittoria della rivoluzione e per la sua ascesa alla Presidenza della Repubblica. Ora lei è il primo cittadino e il leader del Paese, e vogliamo che sia il presidente di una Siria unita, con tutte le sue regioni, i suoi colori, le sue componenti, i suoi clan e le sue confessioni».
«Signor presidente, che Dio la protegga, – ha soggiunto l’ecclesiastico – gli eventi sanguinosi che stanno avvenendo nella regione costiera della Siria hanno causato numerose vittime e feriti tra i civili e le forze di sicurezza. Ma non tutti i caduti appartenevano all’apparato del precedente regime; la maggior parte di loro erano civili innocenti, indifesi, donne e bambini. L’onore e la dignità delle persone sono stati violati. Gli slogan e le grida che si sentono diffondono la divisione, alimentano il settarismo e minano la pace sociale. Molte città, paesi e villaggi sono stati incendiati e saccheggiati. Le zone prese di mira sono state quelle abitate da alawiti e cristiani. Tra le vittime ci sono stati anche numerosi cristiani innocenti. Gli abitanti di alcune zone sono stati costretti ad abbandonare le loro case, poi sono stati colpiti a morte, e le loro abitazioni, i loro beni e le loro auto sono stati saccheggiati, come è accaduto nel quartiere Al-Qusour di Baniyas. Signor presidente, le icone della Vergine Maria vengono distrutte, calpestate e dissacrate. Eppure Maria è onorata anche dai musulmani, e il Corano stesso le dedica un’intera sura, la Sura di Maria, dichiarando che Dio l’ha scelta e l’ha resa la più nobile tra le donne del mondo. Signor presidente, ciò non corrisponde ai suoi [recenti] discorsi; queste azioni sono in contraddizione con la sua visione di una nuova Siria dopo la vittoria della rivoluzione. Per questo motivo, le rivolgiamo un appello perché fermi immediatamente, con saggezza e determinazione, questi massacri e garantisca sicurezza e stabilità a tutti i figli della Siria, in tutta la loro diversità. Le chiediamo di promuovere la riconciliazione nazionale, la pace sociale, la convivenza e il rispetto delle libertà come valori supremi in una società basata sulla cittadinanza, come ha ripetutamente dichiarato».
Si riaccende la guerra civile?
A monte di questi appelli e dichiarazioni, i siriani si sentono nuovamente sull’orlo della guerra civile, osserva fra Bahjat Karakach. Taluni, racconta, se la prendono con la comunità internazionale «che non si assume pienamente le proprie responsabilità nei confronti del Medio Oriente in generale e della Siria in particolare», lasciando che resti una torta da spartire fra potenze straniere; altri accusano il governo di Al-Sharaa «che, al di là delle belle promesse, non ha compiuto finora azioni serie per garantire processi pubblici ed equi nei confronti dei criminali di guerra, un fatto che ha lasciato mano libera a chi vuole farsi giustizia da sé e ha permesso a coloro che si vogliono organizzare per “liberare di nuovo” la Siria di agire indisturbati! Un’altra colpa del nuovo presidente sarebbe quella di mantenere lo status quo del suo governo, formato subito dopo la caduta del vecchio regime, e che resta in carica oltre il tempo fissato di tre mesi, un governo che raccoglie persone poco esperte in politica, tutte appartenenti all’ex Hayat Tahrir al-Sham [l’Organizzazione per la liberazione del Levante, considerata terrorista in Occidente e precedentemente nota come Fronte al Nusra, di cui l’attuale presidente è stato il capo con il nome di battaglia di Abu Mohammed al-Jolani – ndr], portatrici di un pensiero politico [islamista – ndr] di stampo fortemente religioso».
«Il popolo non è un gregge»
«Nonostante le innumerevoli voci, sia all’estero sia all’interno, che hanno affermato come per mantenere una stabilità in Siria sia indispensabile un governo che rappresenti tutte le componenti della società siriana, non si vedono finora azioni concrete in questa direzione. Si è voluto accontentare gli osservatori con una mezza giornata di “dialogo nazionale”, in cui si sarebbero dovute decidere le sorti del Paese. Quel convegno ha redatto un documento finale che resta, per ora, inchiostro sulla carta. Tutti aspettavano il primo marzo, data in cui si sarebbe dovuto formare un nuovo governo di transizione. Quell’obiettivo mancato ha lasciato molti nella delusione, mentre i siriani aspettano una parola chiara dalle loro autorità, una parola che spieghi cosa hanno in mente. Purtroppo, i governanti continuano a trattare il popolo come un “gregge” e non come un vero partner. Questo silenzio, sopportato a malapena, è rotto solo dalle armi che minacciano di distruggere quel che resta della nostra speranza. Qui la gente è stanca e noi non sapremmo più cosa dire o come infondere coraggio per affrontare quel che verrà…».
In mezzo a tutto questo, fra Bahjat rivolge una richiesta a noi che lo leggiamo: «Vi chiedo di pregare per noi, ne abbiamo tanto bisogno. Rivolgiamoci al buon Dio che sa fare miracoli».
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