Il progetto Arabic Manuscripts in the Veneranda Biblioteca Ambrosiana: the digital collection è stato presentato il 4 marzo a Milano nella Sala delle Accademie della Biblioteca, nel corso di una partecipata conferenza stampa. Il processo di digitalizzazione del patrimonio di antichi testi in arabo, sostenuto dalla Regione Lombardia, interesserà oltre migliaio di manoscritti di enorme valore che iniziano a essere disponibili agli studiosi e a tutti gli appassionati. Le prime 250 opere sono consultabili dal 5 marzo nel sito ambrosiana.nainuwa.com.
Il viceprefetto della Biblioteca, monsignor Francesco Braschi, direttore delle Classi Slavica, Africana e Orientalis dell’Accademia Ambrosiana, ha sottolineato come il progetto rappresenti una naturale evoluzione della missione dell’istituzione fondata dal cardinale Federico Borromeo nel 1609. «L’impresa è in continuità assoluta con la sensibilità dell’arcivescovo Borromeo che nel 1616 scriveva dell’importanza dello studio dell’arabo e nel 1627 creò a Milano una stamperia in grado di stampare anche in caratteri arabi. Con la digitalizzazione, l’Ambrosiana vuole permettere una fruizione approfondita dei documenti, uno strumento all’avanguardia per lo studio e la ricerca».
La Biblioteca ha riservato, dunque, fin dalle origini, grande attenzione alla cultura araba, promuovendo il dialogo con il mondo orientale e cristiano-arabo. Federico Borromeo diede indicazioni perché fossero acquistati volumi tra Istanbul, Damasco, Baghdad, il Cairo e Gerusalemme, opere tra le più importanti del diritto, della teologia e della filosofia islamiche. Dava importanza particolare ai rapporti con le Chiese orientali, soprattutto copta e maronita, per valorizzare il patrimonio culturale arabo cristiano. È del 1632 la pubblicazione del vocabolario latino-arabo compilato da Antonio Giggi, uno dei primi dottori della Biblioteca.

La Sala Federiciana della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano. (foto Ambrosiana)
La collezione dei manoscritti arabi della Biblioteca Ambrosiana comprende tre fondi principali: il Fondo Antico, 224 manoscritti arabi e cristiani, la maggior parte dei quali acquistati negli anni del cardinale Federico Borromeo. Fra i tesori del fondo, un’antica copia del Corano su pergamena con miniature in oro, in scrittura sufica, risalente all’VIII-IX secolo. Il Fondo Medio che comprende 134 manoscritti. Infine, il Nuovo Fondo, formato da codici provenienti dallo Yemen e raccolti dal collezionista Giuseppe Caprotti, entrati nel 1909 a far parte dei beni della Biblioteca.
Una ditta austriaca, Treventus Mechatronics, ha curato il processo di digitalizzazione, usando il sistema di gestione della biblioteca digitale «Nainuwa». Ha integrato lo standard Iiif (International Image Interoperability Framework), che permette l’interoperabilità delle immagini digitalizzate, cioè rende più facile l’accesso e la condivisione delle immagini digitali tra diverse piattaforme, visualizzabili su vari dispositivi, e l’Intelligenza artificiale applicata al riconoscimento del testo scritto a mano (Htr, Handwritten Text Recognition) in grado di analizzare e trascrivere i manoscritti.
Infine, la ricerca avanzata di testi e immagini è favorita dall’integrazione delle voci dei quattro volumi del Catalogo dei manoscritti arabi dell’Ambrosiana, curato da Renato Traini (Neri Pozza, 1975-1995; Silvana editoriale, 2011).
Questo progetto di digitalizzazione ha visto le collaborazioni dell’Università Cattolica di Milano e della University of Notre Dame (Usa). L’obiettivo è di completare la digitalizzazione di tutti i manoscritti nell’arco di tre anni.
In coerenza con questa sua missione storica, la Biblioteca Ambrosiana nel settembre 2024 ha siglato al Cairo con la Biblioteca centrale copta di Wadi el-Natrun un accordo di cooperazione culturale per promuovere progetti congiunti di ricerca e sviluppo delle rispettive collezioni. (f.p.)
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