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Scienziate, arabe, cristiane: vite controcorrente in Israele

Manuela Borraccino
7 marzo 2025
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Scienziate, arabe, cristiane: vite controcorrente in Israele
Da sinistra: le scienziate Janan Saba e Luna Jammal.

In occasione dell’8 marzo, le voci di due docenti universitarie cristiane arabe israeliane. «Siamo abituati alla complessità: questo è il nostro paese», dice Luna Jammal. «Non permetteremo agli estremisti di entrambi i fronti di dividerci», le fa eco Janan Saba.


Scienziate, arabe israeliane, cristiane. Sono vite che sfidano gli stereotipi quelle della matematica 44enne Janan Saba, originaria di Nazaret e madre di tre figli, ricercatrice nel dipartimento di Scienze dell’educazione presso l’Università ebraica di Gerusalemme, e della neuro-scienziata 38enne Luna Jammal, che sta per rientrare in patria dopo il secondo programma di post-dottorato di cinque anni a Ratisbona (Germania) con un incarico come ricercatrice capo (principal investigator) nell’Università di Haifa, la sua città natale.

In occasione dell’8 marzo – Giornata internazionale della donna – abbiamo chiesto a ciascuna di loro quale significato diano alle loro identità plurime e all’essere una minoranza all’interno di minoranze. Sono infatti cittadine israeliane eppure arabe, e cristiane tra una grande maggioranza di musulmani. In più sono scienziate: fanno parte cioè di quel 40 per cento di israeliane laureate nelle discipline Stem – acronimo inglese per Scienze, Tecnologia, Ingegneria, Matematica –, secondo l’ultimo rapporto dell’istituto israeliano Rise (mentre sono appena il 28 per cento le donne che lavorano nell’hi-tech). «Siamo abituate alla complessità e a spostarci da una comunità all’altra: essere portatrici di identità plurime ci abitua a capire l’altro e a creare un dialogo con tutti», sorride Luna Jammal.

I loro racconti evocano il bel libro La parità mancata. La lunga strada delle donne tra carriera e famiglia (Rizzoli, 2024) nel quale l’economista Claudia Goldin condensa quarant’anni di studi sul divario di genere nelle retribuzioni e carriera (gender gap), grazie ai quali ha vinto nel 2023 il premio Nobel per l’economia.

«Conciliare la famiglia e il lavoro, la cura dei figli e i miei studi senza perdere pezzi per strada: è un equilibrio da ricalibrare ogni giorno»

«La difficoltà maggiore è stata conciliare la famiglia e il lavoro, la cura dei figli e i miei studi senza perdere pezzi per strada: è un equilibrio da ricalibrare ogni giorno», dice Janan Saba, originaria di Nazaret, laurea in Matematica a Haifa e oggi assistente all’Università ebraica di Gerusalemme. Ha insegnato per 18 anni nelle scuole superiori prima di intraprendere un master in Insegnamento della matematica e un dottorato in Matematica e tecnologia. Nel frattempo ha avuto tre figli, che oggi hanno 21, 17 e 14 anni.

«Senza il sostegno di mio marito – spiega – non avrei potuto continuare il mio viaggio: una donna ha bisogno anzitutto di un sostegno pratico nel quotidiano per crescere i figli, ma anche economico se vuole continuare con il dottorato. Ho insegnato nelle superiori per 18 anni, ma è venuto un momento nel quale dovevo scegliere tra continuare nella scuola e crescere tre figli o riprendere a studiare. È stato mio marito ad incoraggiarmi a lasciare il lavoro per conseguire il dottorato all’università di Haifa. Così ho fatto. Volevo essere un modello per i miei figli: non so se ci sono riuscita ma ci ho provato», sorride.

«Ho dovuto lottare per avere risultati eccezionali che mi permettessero di continuare nella carriera accademica, vincendo i pregiudizi dei professori che pensavano che non ce l’avrei fatta perché ero araba e mamma di tre bambini»

Quali sono state le difficoltà come studentessa araba in un contesto ebraico? «Veniamo da due culture e tradizioni completamente diverse: non è facile per un’araba inserirsi nel contesto universitario ebraico israeliano, prima di tutto per la lingua. Per chi proviene da un ambiente conservatore arabo è estremamente sfidante apprendere rapidamente sia l’ebraico che l’inglese per venire coinvolta in un ambiente accademico, poter parlare in pubblico passando continuamente dalla seconda alla terza lingua. Ho dovuto lottare per avere risultati eccezionali che mi permettessero di continuare nella carriera accademica, vincendo i pregiudizi dei professori che pensavano che non ce l’avrei fatta perché ero araba e mamma di tre bambini, dimostrando ogni giorno di essere forte abbastanza per sopportare il carico di lavoro in università e a casa. Volevo dimostrare a tutti che potevo farcela, e che ce l’avrei fatta. Ho avuto la fortuna di avere come supervisore una scienziata che ha creduto e crede fortemente nelle mie capacità: mi ha fatto avere una borsa di studio della prestigiosa Fondazione israeliana delle scienze (Israeli Science Foundation) che mi ha permesso di concludere con successo la mia ricerca di dottorato, presentandola in Israele e all’estero. Penso che per le donne arabe ci siano diverse variabili, diversi fattori che possono incoraggiare o affossare i piani per intraprendere la carriera accademica: prima di tutto il sostegno della famiglia di origine, il sostegno del coniuge e quello di un supervisore. Sono stata testimone del multiculturalismo che si respira nell’università di Haifa: qui gli studenti e le studentesse che maggiormente si impegnano vengono accompagnati negli studi e stimolati a credere in sé stessi indipendentemente dall’etnia, dal genere e dalla religione».

«Nei nostri laboratori si formano, fianco a fianco, studenti arabi ed ebrei. Cerchiamo di  formarli ad avere a cuore il bene supremo della pace e della convivenza fra tutte le comunità di questo paese»

Come sono cambiati i rapporti con i suoi colleghi dopo i fatti del 7 ottobre 2023? «Debbo dire che sono stati 18 mesi estremamente difficili per me, perché ho molti amici e amiche ebrei, ed io sono araba. Vedo intorno a me ciascuno lottare per non fare nulla che possa farci entrare in conflitto. Siamo persone di scienza e lavoriamo tutti nella facoltà di Scienze dell’educazione: l’istruzione è un fattore estremamente importante per noi. Nei nostri laboratori si formano, fianco a fianco, studenti arabi ed ebrei. Cerchiamo di dare loro l’esempio nelle relazioni di amicizia e professionalità fra di noi e anche nel formarli ad avere a cuore il bene supremo della pace e della convivenza fra tutte le comunità di questo paese, per non permettere che le minoranze estremiste da una parte e dall’altra possano dividerci. Ci sforziamo il più possibile di praticare ogni giorno la moderazione, l’empatia con le persone intorno a noi, senza prendere le parti degli uni o degli altri, che non farebbero che metterci l’uno contro l’altro. Cerchiamo di stare insieme in nome della comune umanità: questo è il contributo che vorrei portare nel mio ambiente di lavoro e l’esempio che vorrei dare ai miei figli».

Quello della neuroscienziata Luna Jammal è un percorso per certi versi ancora di più controcorrente, poiché avviene nella direzione opposta a quella degli 83mila connazionali che nel 2024 hanno lasciato Israele, secondo l’ufficio centrale di Statistica israeliano: quello degli yordim è uno dei fattori che hanno rallentato la crescita della popolazione israeliana, che è stata dell’1,1 per cento nel 2024 rispetto all’1,6 per cento del 2023.

«Mi ritengo estremamente fortunata nell’aver avuto un supervisore comprensivo che mi ha aiutato a terminare gli studi di dottorato durante l’allattamento: una sfida che comunque non avrei potuto affrontare senza il sostegno di mio marito e della mia famiglia»

Cresciuta nelle scuole cattoliche di Haifa, si è laureata all’Università ebraica di Gerusalemme in biochimica e biotecnologia. «Quando ho dovuto scegliere come proseguire con la laurea magistrale, mio nonno risultò affetto dall’Alzheimer e decisi di studiare neuroscienze», racconta. Dopo il master e il dottorato in Apprendimento e memoria, ha intrapreso un nuovo programma di post-dottorato in Scozia e un secondo in Germania. «Il mio primo figlio è nato a Haifa durante il dottorato e oggi ha nove anni, il secondo nel 2020 durante il post-dottorato in Germania. Mi ritengo estremamente fortunata nell’aver avuto un supervisore comprensivo che mi ha aiutato a terminare gli studi di dottorato durante l’allattamento: una sfida che comunque non avrei potuto affrontare senza il sostegno di mio marito e della mia famiglia. Credo che questo sia ancora oggi l’ostacolo principale alla progressione di carriera delle scienziate madri: la conciliazione fra il carico di studi e di lavoro e quello domestico richiede un supporto significativo nei primi anni di vita dei figli. Una scienziata passa la maggior parte del suo tempo in laboratorio, e se stai facendo un esperimento e sta riuscendo non puoi mollare a metà: devi rimanere talvolta molto oltre l’orario di lavoro, e senza una rete familiare non sarebbe possibile. Con mio marito abbiamo trovato molti compromessi per permettermi di andare avanti».

«A Haifa, la più multiculturale fra le città israeliane, sono stata esposta fin dall’infanzia a un ambiente misto, di vicini di casa arabi ed ebrei, musulmani e cristiani, quindi non ho avvertito difficoltà o discriminazioni di nessun tipo quando ho intrapreso l’università»

Jammal racconta con gratitudine della sua crescita avvenuta dai tre ai 18 anni nel contesto della scuola arabo-cristiana a Haifa. «Devo moltissimo alle Suore di Nazaret perché è stata più di una scuola, è stata una palestra di vita che mi ha reso la persona che sono e voglio che i miei figli abbiano la stessa formazione che abbiamo avuto noi. A Haifa, la più multiculturale fra le città israeliane, sono stata esposta fin dall’infanzia a un ambiente misto, di vicini di casa arabi ed ebrei, musulmani e cristiani, quindi non ho avvertito difficoltà o discriminazioni di nessun tipo quando ho intrapreso l’università. L’esperienza mia e di altri studenti è stata di supervisori ebrei estremamente disponibili ad aiutarci nel percorso di studio del master e del dottorato. A Gerusalemme l’ambiente era un po’ diverso perché nel mio corso di studi ero l’unica araba: ho avvertito una maggiore solitudine perché studenti che vengono dalle campagne non frequentano quei corsi. Temono di non avere la preparazione adeguata per arrivare in fondo».

Un anno fa Luna Jammal ha pubblicato un articolo che ha avuto una grande risonanza sulla rivista Science su come le pulsazioni dei vasi sanguigni cerebrali indotte dal battito cardiaco possano influenzare direttamente l’attività cerebrale. «È risultato un buon articolo che mi ha aperto tante porte e sto continuando sullo stesso filone di ricerca». Ora ha ottenuto un incarico da ricercatrice capo all’università di Haifa, dove si appresta a iniziare il prossimo ottobre. «In tanti qui in Germania – spiega – ci chiedono perché rientriamo e se consideriamo Israele un posto sicuro dove crescere i nostri figli. Ma è il nostro paese! Siamo nati e cresciuti lì: abbiamo costruito le nostre carriere all’ombra di questo lunghissimo conflitto, siamo abituati alla complessità. La nostra speranza è che si possa finalmente trovare una soluzione di pace durevole che ci permetta di vivere e prosperare».


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