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Striscia di Gaza, il domani resta oscuro

Giuseppe Caffulli
4 marzo 2025
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Striscia di Gaza, il domani resta oscuro
25 febbraio 2025. Una tendopoli appena montata per i gazesi senzatetto nel quartiere di Zaytoun, nella città di Gaza. (foto Khalil Kahlout/Flash90)

Mentre il governo degli Stati Uniti vende nuove massicce provviste di armamenti a Israele, i rappresentanti di vari Paesi arabi si riuniscono al Cairo per immaginare un futuro per la Striscia di Gaza, che non sia la Riviera di Trump.


La notizia è rimbalzata sulle agenzie, ma in verità non ha per nulla sorpreso. Il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha invocato «l’autorità d’emergenza» per aggirare il Congresso e inviare 4 miliardi di dollari in armi a Israele. Per la seconda volta in un mese l’amministrazione guidata da Donald Trump ha aggirato le prerogative del Congresso americano per l’invio di armi a un Paese terzo.

Nuovi armamenti da Washington

A margine della decisione, Rubio ha affermato che l’amministrazione Trump «continuerà a usare tutti gli strumenti disponibili per adempiere all’impegno di lunga data dell’America per la sicurezza di Israele». Venerdì scorso i funzionari del Dipartimento di Stato avevano informato dell’intenzione di avvalersi della clausola di emergenza le due commissioni del Congresso della Camera e del Senato che esaminano le vendite di armi all’estero.

Non è la prima volta che le amministrazioni Usa si avvalgono di questa prerogativa. Anche il precedente segretario di Stato Antony Blinken, per l’invio di armi in Israele in seguito all’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas, aveva utilizzato questa «via breve». In genere le commissioni hanno 20 giorni di tempo per esaminare le vendite militari all’estero, lasso di tempo che permette ai membri delle commissioni del Congresso di sollevare dubbi o di ritardare l’operazione se necessario.

Il vertice del Cairo

La notizia della nuova fornitura di armi a Israele, mentre la tregua sembra appesa a un filo, è arrivata a poche ore dall’inizio del vertice che si tiene oggi (4 marzo 2025) al Cairo, in Egitto, tra i leader di alcuni Paesi arabi per presentare un piano per Gaza che mira a mettere in disparte Hamas e a creare organismi provvisori di governo gestiti da Stati arabo-musulmani e occidentali. Una sorta di controproposta all’idea del presidente statunitense Donald Trump di svuotare l’enclave dalla popolazione palestinese e trasformarla in una grande stazione balneare. Una prospettiva, quella dell’esodo forzato dei palestinesi e della ricostruzione di Gaza da parte degli Stati Uniti, destinata (almeno secondo Egitto, Giordania e Paesi del Golfo) a destabilizzare l’intera regione, oltre che essere contraria al diritto internazionale.

Secondo una bozza circolata negli ambienti diplomatici, il progetto definito di «assistenza alla governance nella Striscia» in discussione al Cairo dovrebbe prevedere la sostituzione del governo di Hamas a Gaza per un periodo intermedio non specificato, con la responsabilità di sovrintendere agli aiuti umanitari e alla ricostruzione. Israele, in questo caso, potrebbe non opporsi all’intervento di un’entità araba nel governo di Gaza, se Hamas resta fuori scena. Facile però comprendere che la formazione combattente islamista sia contraria a qualsiasi progetto o qualsiasi forma di amministrazione non palestinese. E ancor di più avversa alla presenza di forze straniere sul territorio della Striscia.

Per scongiurare la deportazione dei gazesi

Il vertice del Cairo si è reso però necessario per cercare di contrastare la proposta degli Stati Uniti di sfollare in massa i palestinesi da Gaza e di prendere il controllo della Striscia. Il documento in discussione, redatto da Egitto e Giordania, non spiega chi pagherebbe per ricostruire Gaza, con un costo stimato dalle Nazioni Unite di oltre 53 miliardi di dollari. Gli Stati del Golfo e altri Paesi arabi dovrebbero impegnarsi con una cifra di almeno 20 miliardi di dollari nella fase iniziale. Logico che, senza i petrodollari di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ogni proposta di questo genere avrebbe il fiato corto. La proposta avanzata dall’Egitto prevede che gli Stati che faranno parte del «comitato pro Gaza» possano istituire un fondo per sostenere l’organo di governo provvisorio e organizzare conferenze di donatori per finanziare il piano di ricostruzione e sviluppo a lungo termine della Striscia.

Mentre non si è ancora sopito lo choc dell’annuncio di Trump su Gaza «Riviera del Medio Oriente», a cui si è aggiunto il bizzarro video generato dall’intelligenza artificiale che promuoveva ancora una volta il piano di The Donald di creare un mega resort per ricchi, con tanto di statua dorata a sé stesso (strategia che Brian Katulis in un’analisi pubblicata dal Middle East Institute definisce troll power: prendersi gioco degli avversari politici per provocare una reazione fuori dagli schemi convenzionali), il vertice del Cairo è un tentativo di risposta che ci si augura non resti una volta ancora sulla carta. Il piano di ricostruzione presentato in Egitto consisterebbe in tre fasi: soccorso immediato e aiuto agli sfollati a causa della guerra; sgombero delle macerie e riciclo di materiali per sostenere la ricostruzione; infine, ripristino di alloggi e infrastrutture permanenti. Il piano dovrebbe protrarsi per almeno cinque anni.

Al vertice è presente il presidente palestinese Mahmoud Abbas. Oltre a esponenti di Giordania, Egitto e Emirati arabi uniti; partecipa anche lo sceicco Hamad bin Isa Al Khalifa del Bahrein e il presidente della Mauritania Mohamed Ould Ghazouani.

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