Nelle nomine della governatrice della Banca centrale Maysaa Sabrine e della ministra per gli Affari femminili Aisha al Dibs le speranze delle siriane di contribuire alla ricostruzione del Paese dopo 14 anni di guerra.
È stata salutata come un messaggio rassicurante rivolto anche alle cancellerie occidentali la nomina lo scorso 30 dicembre dell’economista Maysaa Sabrine alla guida della Banca centrale siriana da parte del governo ad interim guidato da Mohammed al Bashir. Un chiaro segnale della rilevanza che il nuovo leader de facto Ahmed al Ashar attribuisce ai tecnocrati e al ruolo che anche le donne possono esercitare nella vita pubblica. L’incarico è stato conferito a distanza di una settimana dalla nomina come ministra per gli Affari femminili di Aisha al Dibs, conservatrice di stampo islamista molto attiva per i diritti delle donne e gli aiuti umanitari nei campi profughi in Turchia.
Scarne le informazioni sulla nuova governatrice della Banca centrale, prima donna a detenere l’incarico in 70 anni di vita dell’istituto siriano: Maysaa Sabrine ne è già stata vicegovernatrice e dal 2018 ha fatto parte della Commissione di direttori della Borsa valori di Damasco. Laureata in Economia e finanza all’università di Damasco e dopo aver ottenuto la qualifica di revisore dei conti dello Stato, per 15 anni ha ricoperto incarichi di supervisione e di controllo della Banca centrale e ha rappresentato l’istituto in vari organismi statali.
L’economista succede a Mohammed Issam Hazime, che era stato nominato nel 2021 dal presidente Bashar al-Assad e costretto a farsi da parte dopo la presa del potere da parte dei miliziani di Hayat Tahrir al Sham (Hts) lo scorso 8 dicembre. Fonti interne citate dall’agenzia France Presse parlano di un incarico conferito «per gestire gli affari correnti» nella transizione in atto nel Paese. Sabrine eredita una difficilissima crisi monetaria, oltre che economica con il valore della sterlina siriana polverizzato da 14 anni di guerra, riserve auree e della valuta estera in gran parte depredate dal regime degli Assad.
Una settimana prima le dichiarazioni della neo-ministra per gli Affari femminili Aisha al Dibs avevano suscitato critiche da parte delle attiviste per la parità di genere. Al Dibs, attivista di lungo corso per i diritti delle donne di estrazione tradizionalista islamista, era già nota per il lavoro con le rifugiate in Turchia e prima ancora per un’organizzazione umanitaria nel governatorato di Idlib. Subito dopo la nomina del 22 dicembre aveva dichiarato di condividere l’orizzonte valoriale islamista dei miliziani di Hts e che «le leggi sulla condizione delle donne verranno dettate dalla Costituzione che resterà ancorata alla legge islamica», in qualche modo suggerendo che le donne, come avvenuto in Iran dopo la Rivoluzione islamica del 1979, potrebbero essere escluse dalla magistratura. Al tempo stesso aveva detto che «le donne siriane hanno una lunga storia di impegno e di leadership sociale in Siria e avranno un ruolo chiave nella ricostruzione: continueremo a investire sulla loro formazione in modo che possano porsi alla guida degli incarichi legislativi e politici».
La neo-ministra ha annunciato che tra le sue priorità ci sono le condizioni delle ex detenute ed il recupero dagli immensi traumi che hanno subito. Dopo gli orrori scoperti a Sednaya e in altri penitenziari del Paese dopo 54 anni di regime, al Dibs ha annunciato che intende redigere un rapporto sulle migliaia di siriane liberate dalle prigioni, predisporre un piano complessivo di azioni e di sussidi per la loro reintegrazione e perseguire penalmente chi si è macchiato di abusi, violenze sessuali e torture contro di loro.
La ministra ha raccontato che il movimento spontaneo popolare che nei giorni della fuga di Assad da Damasco si è unito agli armati di Hts nell’aprire le prigioni ha inevitabilmente fatto perdere i registri e le tracce di molte prigioniere. «Istituiremo un numero verde dedicato alle ex carcerate – ha detto Aisha al Dibs in un’intervista ad Al Jazeera – per contarle e per lavorare con loro. Avranno bisogno di sostegno psicologico, di formazione, di assistenza sanitaria e di tutela legale mentre si preparano ad intraprendere azioni penali contro i loro carcerieri».
Quel che è certo è che per i nuovi leader della Siria coinvolgere le donne nella transizione, nel processo costituente e nelle attività produttive oggi è una necessità pratica. La guerra ha portato con sé variazioni demografiche rilevanti: centinaia di migliaia di uomini sono stati uccisi, sfollati, o costretti all’esilio dalla coscrizione militare, dalla povertà e dalle persecuzioni per motivi politici. Decine di migliaia di donne sono diventate capifamiglia in questi 14 anni e sia nelle principali città sia nelle aree rurali hanno assunto ruoli di coordinamento nell’erogazione dei servizi di base nell’istruzione e nell’assistenza sanitaria e a capo di associazioni caritative. Valorizzare il loro ruolo nei processi decisionali e nella ricostruzione sociale ed economica della Siria è una strada obbligata prima ancora che una concessione alle pressioni internazionali.