Per il secondo Natale consecutivo a Betlemme e a Gerusalemme non ci sono turisti (se non rare eccezioni): nel 2023, fino allo sciagurato 7 ottobre, erano lentamente ripresi i pellegrinaggi, dopo due anni e mezzo di crisi indotta dalla pandemia di Covid-19. Intanto nella Striscia di Gaza la devastazione è senza precedenti. Si calcola che nei soli primi quattro mesi di guerra, al 31 gennaio 2024, il costo dei danni dei bombardamenti israeliani avesse già sfondato quota 18,5 miliardi di dollari, l’equivalente di sette volte il Pil della Striscia nel 2022. Secondo gli osservatori internazionali potrebbero volerci almeno 14 anni solo per sgomberare tutte le macerie. «È più di una crisi: è un collasso» sintetizza Rami Al Azzeh, economista della Conferenza delle Nazioni unite per il commercio e sviluppo (Unctad), in un rapporto che constata come nella prima metà del 2024 il valore dell’economia della Striscia sia crollato a meno di un sesto di quello che era nel 2022.
Una morsa a tenaglia
L’economia palestinese si trova nella morsa soffocante di una tenaglia. La contrazione economica dell’86 per cento nella Striscia di Gaza e del 23 per cento in Cisgiordania nel 2024 ha spinto i palestinesi «in una crisi di magnitudine senza precedenti» constata la Banca mondiale. Se nel 2022 circa un terzo dei palestinesi (1,84 milioni) soffriva di «insicurezza alimentare», con insufficiente accesso ad acqua e cibo, ora la povertà è in aumento e si sta diffondendo rapidamente anche nei Territori.
In Cisgiordania fino al 7 ottobre 2023 risultava del 22,2 per cento la percentuale dei lavoratori palestinesi impiegati in Israele o nelle colonie: al gennaio 2024 questa percentuale si era ridotta ad appena il 2,3 per cento. Negli ultimi 14 mesi il 96 per cento delle piccole e medie imprese ha registrato un calo della produzione e il 42,1 per cento ha dovuto ridurre la forza lavoro. Sono andati in fumo 306mila posti di lavoro, facendo schizzare il tasso di disoccupazione nei Territori dal 12,9 per cento prima della guerra al 35 per cento attuale. Il venir meno di questi posti di lavoro, segnala l’Unctad, si è tradotto in una perdita stimata giornaliera di redditi da lavoro di 25,5 milioni di dollari, che ha eroso la resilienza economica dei capifamiglia palestinesi e ha acuito le ristrettezze sociali. Al crollo delle produzioni si aggiunge la violenza dei coloni: al 30 settembre 2024, secondo i dati raccolti dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) c’erano stati 1.423 attacchi contro i palestinesi, con 140 vittime e 1.135 danneggiamenti di proprietà. Ad oggi, 24 dicembre, secondo l’Ufficio palestinese di statistica sono più di 800 i palestinesi uccisi in Cisgiordania.
Povertà diffusa, servizi al collasso
Proprio in Cisgiordania, dove si concentrava prima della guerra la maggior parte della crescita dell’economia palestinese, la povertà è schizzata alle stelle anche a causa del collasso dei servizi di base e dei rischi di bancarotta dell’Autorità palestinese. Nel quartier generale di Ramallah le casse sono vuote perché Israele ha ripreso solo parzialmente a versare le tasse e gli introiti doganali che raccoglie per conto dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), per importi che negli ultimi anni hanno costituito tra il 60 e il 70 per cento delle entrate totali dell’Anp. Queste entrate sono crollate da una media mensile di 220 milioni di dollari fino al 7 ottobre 2023 a circa 55 milioni al mese a causa della recessione causata dalla guerra. Gli importi e i pretesti variano di volta in volta: un mese Israele cita i costi delle forniture dell’acqua e dell’elettricità, un altro la necessità di dedurre gli indennizzi versati dall’Autorità palestinese ai familiari dei palestinesi detenuti in Israele o uccisi in attacchi contro gli israeliani. «Purtroppo queste deduzioni sono del tutto arbitrarie» rimarca Rami Al Azzeh. Anche le tasse locali raccolte dall’Anp si sono più che dimezzate nell’ultimo anno.
Ancora più difficile circolare
Altre politiche del governo israeliano, come la revoca dei permessi di lavoro ai palestinesi dei Territori e l’aumento dei posti di blocco in Cisgiordania (da 567 posti di blocco all’inizio di ottobre 2023 a 700 al febbraio 2024 con le ulteriori restrizioni alla mobilità dei palestinesi e delle merci), hanno contribuito a mettere in ginocchio l’economia. Anche le donazioni internazionali – che costituivano una componente rilevante delle entrate palestinesi – sono quasi scomparse dopo l’attacco di Hamas. Ciò che ne è rimasto è stato dirottato verso l’assistenza umanitaria a Gaza. Le donazioni sono al loro minimo storico dal 2012 e il deficit di cassa dell’Autorità palestinese potrebbe sfondare quota cinque miliardi di dollari a fine anno, secondo i calcoli della Banca mondiale.
Nel fare i conti con queste ristrettezze, l’Anp ha dovuto tagliare del 50 per cento i salari dei dipendenti pubblici e ritardare i pagamenti ai fornitori privati. In Cisgiordania gli impiegati della pubblica amministrazione lavorano tre o quattro giorni a settimana. Il taglio delle prestazioni sanitarie, educative ed assistenziali ha comportato anche la drastica riduzione dei sussidi per le famiglie più povere. I pazienti cronici sono stati costretti a rivolgersi a istituzioni caritative o agenzie umanitarie, visto che il 60 per cento della sanità dell’Anp è appaltato a strutture private o umanitarie convenzionate che sono oggi in affanno per l’insolvenza degli uffici governativi di Ramallah.
Un fisco alle corde
A rendere il quadro ancora più fosco ci sono due leggi approvate lo scorso giugno in Israele che potrebbero mettere in ginocchio il fisco palestinese. Entrambe le leggi garantiscono risarcimenti per le vittime del terrorismo a carico dall’Autorità palestinese e potrebbero essere applicate in forma retroattiva al 7 ottobre 2023. Le leggi autorizzano Israele a dedurre dalle tasse che raccoglie per conto dell’Anp quote di 1,3 milioni di dollari per ogni israeliano ferito in un attacco terroristico e 2,7 milioni per ogni ucciso. Benché le norme siano sotto esame da parte della Corte suprema, la loro piena applicazione potrebbe determinare la bancarotta istantanea dell’Autorità palestinese.
Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich non ha mai fatto mistero del suo desiderio di assistere al collasso finanziario dell’Anp. «Lasciamo che crolli» ha dichiarato lo scorso maggio. Ma l’establishment militare israeliano ha messo in guardia ancora una volta il governo da passi che potrebbero causare la disintegrazione politica e il collasso economico dell’Autorità palestinese, destabilizzando in modo irreversibile la Cisgiordania.
Solo lo scorso 30 novembre Smotrich ha ceduto alle pressioni dell’Ue e degli Stati Uniti per la proroga di un anno all’accordo che permette alle banche israeliane di cooperare con quelle palestinesi su accordi per il trasferimento di denaro e accordi commerciali fra aziende e individui israeliani e palestinesi. La proroga, che dimostra ancora una volta la dipendenza delle finanze palestinesi dalla politica israeliana, è stata ottenuta comunque in cambio di nuove autorizzazioni nel 2024 a estendere diversi insediamenti in Cisgiordania: un’ulteriore picconata ai tentativi di tenere in piedi i piani per uno Stato palestinese.