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Cosa si muove nella politica palestinese

Manuela Borraccino
7 dicembre 2024
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Cosa si muove nella politica palestinese

Dopo mesi di pressioni, Hamas e Fatah hanno trovato un accordo per la gestione congiunta della ricostruzione di Gaza. Abu Mazen ha designato un vicario per la presidenza dell’Autorità palestinese. Intanto al Cairo si lavora ancora alla tregua.


Si sono riaccese le speranze per un cessate il fuoco a Gaza con i colloqui del 5 dicembre 2024 al Cairo con una delegazione israeliana e il ritorno del Qatar tra i mediatori. La proposta egiziana prevede una tregua di due mesi, il rilascio degli ostaggi (rapiti in Israele il 7 ottobre 2023) in cambio della scarcerazione di detenuti palestinesi e il controllo del valico di Rafah da parte dell’Autorità nazionale palestinese (Anp): dopo 426 giorni di prigionia le famiglie dei 97 ostaggi ancora nella Striscia sanno che ogni giorno che passa diminuiscono le speranze di riaverli vivi. Il governo israeliano presume che almeno 37 siano morti e di altri 37 sono stati recuperati i corpi nelle scorse settimane, mentre mercoledì sera è stato ritrovato dallo Shin Bet a Gaza il corpo di Itay Svirsky, 38 anni, che era stato rapito a Be’eri.

Un accordo per Gaza tra palestinesi

Lo scorso lunedì 2 dicembre al Cairo Hamas e Fatah hanno raggiunto un accordo per un governo di unità nazionale, sotto l’egida dell’Anp, per il «giorno dopo» la fine delle ostilità a Gaza. Si tratta di un primo passo concreto dopo che lo scorso luglio dalla Cina i leader di 14 fazioni politiche palestinesi, comprese Hamas e Fatah, avevano rivolto un appello per l’unità nazionale attraverso una Dichiarazione di Pechino. Secondo la proposta egiziana, un Comitato per il sostegno comune dovrebbe amministrare la fornitura e la distribuzione degli aiuti umanitari, la pubblica amministrazione, la ricostruzione di Gaza e la gestione del valico di Rafah insieme all’Egitto, come avveniva fino al 2005.

Il governo di Gaza sarebbe subordinato all’Anp per gli affari giuridici, amministrativi e finanziari. Non è ancora chiaro se Israele accetterebbe la creazione di questo organismo, visto che finora la maggior parte dei ministri ha escluso che l’Anp possa governare Gaza. Si dice che Hamas abbia acconsentito per evitare la ripresa di bombardamenti pesanti a Gaza dopo il cessate il fuoco in Libano e per assicurarsi una qualche forma di controllo della Striscia. Anche perché secondo immagini satellitari analizzate nei giorni scorsi dal quotidiano The New York Times in questi mesi l’esercito israeliano ha stabilito delle basi operative nel corridoio Netzarim, tagliando in due la Striscia di Gaza e occupando circa 46 chilometri quadrati di suolo.

Il vicario di Abu Mazen

L’accordo tra le principali fazioni palestinesi arriva pochi giorni dopo la nomina da parte del presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen), del consigliere Rawhi Fattouh – attualmente presidente del Consiglio nazionale palestinese (struttura interna all’Organizzazione per la liberazione della Palestina) e responsabile delle Relazioni internazionali del partito Fatah – come proprio successore ad interim qualora il deteriorarsi delle sue condizioni di salute gli impedissero di governare. Abu Mazen, che lo scorso 15 novembre ha compiuto 89 anni, ha così ceduto alle pressioni di americani e sauditi per un segnale che lasci intravvedere un’evoluzione dell’Anp di fronte al massacro di Gaza. Al 5 dicembre, dopo 14 mesi di guerra, la conta delle vittime ha superato quota 44.500 nella Striscia e oltre 800 in Cisgiordania, con conseguenze sempre più drammatiche: i resoconti degli operatori umanitari menzionano migliaia di feriti, molti dei quali bambini, con arti amputati senza anestesia e sofferenze fisiche, psichiche e materiali di ogni tipo.

Il lavorio di Riyadh

Da mesi l’Arabia Saudita lavora dietro le quinte, tramite colloqui riservati con governanti di Paesi arabi ed europei, per la creazione di uno Stato palestinese. A settembre Riyadh ha versato 60 milioni di dollari alle casse dell’Anp per tenerne a galla le finanze e avrebbe condizionato il versamento di altri dieci milioni alla scelta di un successore da parte di Abu Mazen. Lo Stato di Israele, del resto, dal novembre 2023 ha congelato il versamento di 188 milioni di dollari di diritti doganali e introiti fiscali raccolti per conto dell’Anp, secondo quanto previsto dagli Accordi di Oslo. Benché il governo israeliano abbia autorizzato il trasferimento dei fondi in custodia alla Norvegia, il Paese scandinavo non può girarli all’Autorità palestinese senza il permesso dello Stato ebraico. Gli incentivi sauditi sono comunque briciole rispetto al fabbisogno: si calcola che il deficit di bilancio palestinese sfonderà quota due miliardi di dollari nel 2024, dai 740 milioni di dollari nel 2023 e 451 milioni nel 2022. Alla fine dell’anno, secondo la Banca mondiale, il debito pubblico complessivo dell’Autorità palestinese potrebbe raggiungere i cinque miliardi di dollari.

Trent’anni dopo Oslo, l’Anp rappresenta tuttavia un organismo di facciata. Il potere è gestito di fatto da Fatah, il principale partito palestinese, e dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp): proprio per questo si sono susseguiti gli appelli per una riforma dell’Olp che includesse anche Hamas e il Jihad islamico e un allargamento della base democratica degli organi di rappresentanza palestinese. E proprio per questo Abbas si sarebbe affrettato a designare come suoi successori nei posti chiave due fedelissimi: in Fatah l’attuale vicepresidente Mahmoud al-Aloul e nell’Olp l’attuale segretario generale Hussein al-Sheikh.

Fattouh non è un volto nuovo

Ma chi è il successore ad interim Fattouh e quale ruolo potrebbe giocare per risollevare la pessima fama dell’Autorità palestinese? Rawhi Ahmed Muhammad Fattouh, conosciuto anche come Abu Wissam, è nato nel 1949 nella Striscia di Gaza e ha trascorso l’infanzia nel campo profughi di Rafah, gestito dall’Unrwa, dove la sua famiglia era sfollata all’inizio del 1948 quando le brigate dell’Haganah (il nucleo originario delle forze armate israeliane – ndr) avevano cacciato via gli abitanti del villaggio di Barqa, a nord della Striscia, durante la famigerata «operazione Barak». Fattouh ha frequentato le scuole medie nella città egiziana di al-Arish e le superiori a Zarqa, in Giordania, dove la famiglia si era rifugiata dopo lo scoppio della Guerra dei Sei giorni. A vent’anni è entrato nel partito Fatah guidato da Yasser Arafat ed in particolare nel suo braccio armato noto come al-Asifah.

Da combattente a politico

Membro dell’ala militare di Fatah, è stato addestrato in Iraq e Libano. Ha mosso i primi passi della carriera politica in Siria, nella doppia veste di segretario della sezione locale del partito Fatah e leader del movimento giovanile studentesco siriano: nel 1979 si è laureato in Lingua e Letteratura inglese all’università di Damasco, mentre solo nel 2002, a 53 anni, ha conseguito un Master in Scienze politiche. Fin dal 1983 fa parte dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp); dal 1989 è membro del Consiglio rivoluzionario di Fatah e dal 1996 del Consiglio nazionale palestinese, per il distretto del governatorato di Rafah. Nel 2003 è stato nominato ministro dell’Agricoltura dal premier Ahmed Qurei, presidente del Consiglio legistlativo palestinese (vale a dire il parlamento dell’Anp) dal 2004 al 2006. È membro del Comitato centrale di Fatah e presidente del Consiglio centrale dell’Olp. Nel 2004 è stato per 60 giorni presidente ad interim dell’Anp dopo la morte di Arafat, passando poi il testimone al presidente eletto Mahmoud Abbas. Un incarico che a distanza di vent’anni gli è stato nuovamente assegnato da Abbas che nel 2006 lo aveva nominato suo rappresentante personale.

Neppure Fattouh è esente dagli scandali e dall’impopolarità: nel 2008 venne colto in flagrante al valico di Allenby, la frontiera fra Giordania e Israele, mentre trasportava 3.000 cellulari di contrabbando verso i territori palestinesi utilizzando la copertura dei Vip pass concessi da Israele ai funzionari dell’Anp. Un incidente che mandò Abu Mazen su tutte le furie. Secondo gli osservatori, Fattouh non avrebbe in ogni caso alcuna ambizione politica e gestirebbe gli affari correnti per 90 giorni per poi passare il testimone.

Verso un’Anp senza Abu Mazen

Quel che è certo è che, se anche Abu Mazen uscisse di scena, ci vorrebbero molti mesi e il coinvolgimento di Paesi arabi, europei e degli Stati Uniti per creare un nuovo contesto che rendesse possibile l’indizione di elezioni presidenziali. Benché il suo mandato presidenziale sia scaduto dal 2009, fino ad oggi Abbas non ha fatto svolgere nuove elezioni, ufficialmente con il pretesto che Israele vieta di aprire dei seggi elettorali a Gerusalemme Est, per i palestinesi che vi risiedono.

Via via, il presidente ha assunto, di fatto, il controllo della magistratura, della sicurezza, dell’intelligence e di tutto quel che tiene in vita gli organismi dell’Autorità palestinese, ricevendo il sostegno politico ed economico degli Stati Uniti, dell’Unione europea e anche di Israele per mantenere lo status quo. Ha estromesso rivali interni come il negoziatore di lungo corso di Oslo Yasir Abed Rabbo e il capo della sicurezza a Gaza Muhammad Dahlan, allontanando persino i tecnici graditi ai partner occidentali come l’economista della Banca mondiale ed ex premier fino al 2013 Salam Fayyad, mentre la corruzione dilaga ed è sempre più limitato il controllo sulle aree A e B della Cisgiordania occupata.

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