Dopo due anni di frizioni con colei che considera «un bastian contrario», Netanyahu starebbe nominando una commissione per togliere l’incarico alla procuratrice generale dello Stato. La Corte suprema, però, potrebbe bloccare l’atto. In Israele si aprirebbe così un’altra crisi politico-istituzionale.
Prima donna a ricoprire l’incarico, Gali Baharav-Miara era stata nominata nel febbraio 2022 procuratrice generale di Israele dall’allora ministro della Giustizia Gideon Sa’ar (oggi ministro degli Esteri) nel governo centrista di Naftali Bennett e Yair Lapid. Per trent’anni l’ex procuratrice distrettuale di Tel Aviv aveva esercitato il proprio ruolo senza mai far trasparire le sue opinioni politiche. L’arrivo nel dicembre 2022, dieci mesi dopo la nomina, del governo più a destra, confessionale e sovranista della storia di Israele l’ha portata suo malgrado, fin dall’inizio, ai ferri corti con l’esecutivo. Oggi, ormai, la magistrata 65enne, nominata nelle scorse settimane dai lettori del quotidiano The Jerusalem Post tra le 35 personalità ebraiche più influenti del mondo nel 2024, si trova suo malgrado all’apice dello scontro.
Benché non abbia fatto nulla di particolarmente straordinario, «è diventata per metà del Paese un demone e per l’altra metà una Giovanna d’Arco» sintetizza The Jerusalem Post. E questo per aver esercitato senza indietreggiare il ruolo che l’ordinamento israeliano conferisce al procuratore generale: consigliere legale per il governo ma al contempo pubblico ministero (peraltro con un premier sotto processo per corruzione, frode e abuso d’ufficio), con le funzioni sia di rappresentare il governo nelle controversie con i cittadini sia di difendere l’interesse pubblico. Le sue decisioni possono essere annullate solo dalla Corte Suprema, in seguito a petizioni presentate dai cittadini.
Da mesi il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir chiede le dimissioni di Gali Baharav-Miara e secondo indiscrezioni di stampa il premier Benjamin (Bibi) Netanyahu starebbe per nominare una commissione incaricata di licenziare lei e il direttore dei servizi per la sicurezza interna Shin Bet, Ronen Bar. Le procedure richieste per il siluramento non sono, però, così semplici. Anche perché la sostituzione è prevista solo «se ci sono prolungati sostanziali disaccordi fra il governo e il procuratore generale, tali da impedire un’efficace collaborazione». E anche in quel caso la Corte Suprema potrebbe bloccare l’atto, sulla base del conflitto di interessi che vede Netanyahu alla sbarra in diversi processi dei quali proprio Baharav-Miara è responsabile.
La magistrata non solo si è opposta fin dall’inizio al tentativo di riforma giudiziaria di Netanyahu, ma più volte in questi due anni si è trovata a dar ragione agli oppositori anziché difendere il governo. Al punto che tre settimane fa il premier l’ha definita «un bastian contrario» che impedisce ai ministri di governare con le sue continue bocciature di progetti di legge che permetterebbero alla maggioranza di scavalcare la Knesset e gli stessi giudici.
Gali Baharav-Miara ha tirato dritto. Nella lettera che ha inviato lo scorso 14 novembre al premier Netanyahu, la procuratrice gli ha chiesto di rivedere la sua posizione sulla permanenza di Itamar Ben-Gvir nel ruolo di ministro della Sicurezza nazionale. La lettera è arrivata in forma di risposta da parte del governo all’Alta corte di giustizia, che ha accolto una petizione che chiedeva alla suprema magistratura di dare disposizioni a Netanyahu affinché usi i suoi poteri per far dimettere un ministro che sta mettendo in pericolo il Paese e la stessa democrazia. «Gli eventi recenti, che si aggiungono a quelli che hanno preceduto la ricezione della petizione – ha scritto la procuratrice a Netanyahu – rendono evidente l’incredibile, serio e continuo disprezzo delle leggi, violazioni delle leggi e violazioni dei fondamentali principi di governo, mentre politicizzano allo stesso tempo il lavoro della polizia».
Gali Baharav-Miara si riferiva ai numerosi episodi dei mesi scorsi durante i quali la polizia ha disperso violentemente i manifestanti che protestavano per l’inazione di Netanyahu per il rilascio degli ostaggi; ai tentativi di Ben Gvir di negare le scorte di sicurezza ai camion che portavano aiuti umanitari a Gaza, o ancora per l’assalto – restato impunito – di sostenitori del governo lo scorso luglio alla base militare di Beit Lid per impedire l’arresto di agenti penitenziari che avevano stuprato un detenuto palestinese.
La procuratrice ha spiegato nella lettera che l’interferenza di Ben Gvir nelle operazioni di polizia, unita alla complicità dei comandanti che fanno riferimento al ministro per ottenere delle promozioni solleva dei dubbi sul dovere della polizia di servire l’interesse pubblico e non quello dei politici. Ha inoltre ricordato a Netanyahu che il ministro è stato posto a capo della polizia dal primo ministro, il quale conserva la responsabilità degli atti dei membri del suo esecutivo. Ora il premier potrebbe esser tentato di avviare la resa dei conti.
Un anno fa il settimanale britannico The Economist aveva definito la procuratrice «l’ultima custode della democrazia israeliana» insieme all’allora presidente della Corte suprema Ester Hayut in un articolo che definiva le due giuriste l’estrema difesa della democrazia nello Stato ebraico, contro i tentativi del governo di sottomettere il ramo giudiziario all’esecutivo.
In un paese in cui lo Stato di diritto è entrato nel mirino di quanti invocano «l’uomo forte», la giudice Baharav Miara appare come l’ultima diga davanti all’alluvione. «Negli ultimi anni – si legge nel ritratto che le ha dedicato il Jerusalem Post – ha dimostrato coraggio, integrità e soprattutto una rara schiena dritta. Non si è piegata dinanzi alle proteste, non ha indietreggiato di fronte alle minacce di farla dimettere, non ha esitato nel mantenersi ferma in uno dei momenti storici più complessi e violenti della storia di Israele. Accompagnata dalle sue guardie del corpo, ha continuato a ignorare il rumore di sottofondo e ha esercitato il suo ruolo con la massima indipendenza e senza scendere a compromessi».