(g.s.) – In un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano e sugli altri media vaticani il 10 ottobre scorso, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, ringrazia papa Francesco per la sua lettera ai cattolici del Medio Oriente di alcuni giorni fa.
Il patriarca definisce le parole scritte dal Papa il 7 ottobre, un «bellissimo gesto di vicinanza e di affetto» e condivide le riflessioni che hanno suscitato tra i vescovi e i patriarchi delle Chiese di Terra Santa. Rendendo pubblico il ringraziamento, Pizzaballa scrive: «Mi faccio portavoce del pensiero, della preoccupazione e della speranza di vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli».
«In questo tempo così doloroso – dice il patriarca –, continueremo non solo a stare vicini al popolo santo, a tutti i tipi di sofferenza, ma anche a “lasciarci toccare il cuore”, mettendo da parte le nostre priorità, per continuare a servire in tutte le forme possibili la nostra gente. In questo contesto di odio così radicato, infatti, c’è bisogno di empatia, di gesti e parole di amore che, anche se non cambiano il corso degli eventi, portano però conforto e consolazione, di cui tutti abbiamo estrema necessità. In questi mesi, sacerdoti, religiosi e religiose sono rimasti accanto alle comunità e alle persone provate, anche nei luoghi più pericolosi. Sono tanti i volontari e le volontarie delle nostre comunità che nonostante il pericolo non si sono risparmiati per aiutare i loro fratelli e sorelle».
«Non ci arrenderemo – prosegue il cardinal Pizzaballa – agli eventi che sembrano allontanarci gli uni dagli altri, ma cercheremo sempre di essere assetati costruttori di pace e giustizia, senza cedere alla logica del male, che invece vuole dividere. Non nascondiamo che non è umanamente facile in queste circostanze essere capaci di amare i nostri nemici e pregare per quanti ci perseguitano (cfr. Vangelo di Matteo 5, 44), ma non cessiamo di chiedere questo dono e questa libertà a Dio, nella preghiera. In questo siamo ispirati da tanti esempi di uomini e donne di ogni fede che in questi mesi, pur essendo stati colpiti personalmente dalla violenza e dalla morte, hanno avuto la forza interiore di non accondiscendere alla logica dell’odio, ma sono stati capaci di dire parole di perdono, e di porre gesti di comprensione e di speranza. Sono il «piccolo resto» dal quale ripartire».
In quest’ultimo anno, in più occasioni, il patriarca latino ha riconosciuto e messo in luce le ricadute negative della guerra sul dialogo tra i cattolici e i credenti, e leader religiosi, ebrei e musulmani. Lo ribadisce ancora una volta: «Il dialogo tra noi credenti delle diverse fedi è stato ferito. Il sospetto sembra avere prevalso tra alcuni di noi. Ma ci impegneremo per riprendere le relazioni, per ricostruire la fiducia che sembra essersi incrinata, per fare sì che la fede sia luogo di incontro e non pretesto di divisione. Da questo momento difficile dovremo imparare a rendere le nostre relazioni in futuro ancora più forti e sincere, per costruire autentici e seri contesti di pace e rispetto». Anche su questo versante occorrerà cambiare qualcosa, secondo il cardinale Pizzaballa.
Cambiamenti tanto più necessari sul versante delle leadership, non solo politiche. Scrive il patriarca: «Questa nostra regione ha bisogno di guide con una nuova visione, di persone che siano capaci di dare espressione alla ricchezza e alla bellezza che qui ancora esistono e che la guerra non ha ancora del tutto sfigurato. L’idea che le strategie militari possano portare novità positive per la nostra regione è un’illusione. Come Lei ci ha giustamente ricordato: “La storia lo dimostra, eppure anni e anni di conflitti sembrano non avere insegnato nulla”. La violenza, infatti, produrrà altra violenza, creerà nelle giovani generazioni altro odio, fomenterà ancora di più i vari fondamentalismi, che da troppo tempo tormentano e bloccano la nostra regione».
La strada è un’altra: «Abbiamo invece bisogno di sviluppo, di investire in formazione, di educare alla pace, di dare ai nostri giovani un contesto di vita sereno, sul quale possano fondare la loro speranza, qui, in queste nostre terre martoriate, ma che sono pur sempre il Luogo «di cui più parlano le Scritture», e nel quale affondano le nostre radici. Nonostante i tanti nostri limiti, cercheremo, insomma, di essere una voce serena, ferma e libera dei piccoli che non hanno voce. Ci impegneremo a non abbandonare nessuno di quanti busseranno alle nostre porte e di farci prossimi a tutti coloro che oggi sono nel dolore, nel bisogno e soli».
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