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Onu: a Gaza donne e bambini tra i pazienti più fragili

Manuela Borraccino
25 settembre 2024
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Almeno 177mila donne malate rischiano di morire a Gaza per assenza di medicinali e di operatori sanitari. Tra i 95mila feriti diverse migliaia hanno subito amputazioni degli arti. Lo dice l’ultimo rapporto dell’Onu sulla condizione delle donne nella Striscia.


Anche se l’esercito israeliano si sta concentrando sul fronte settentrionale contro gli Hezbollah in Libano, continuano senza sosta i bombardamenti su Gaza, dove i raid negli ultimi giorni hanno ucciso diverse decine di palestinesi. Lunedì 23 settembre una coppia e la loro figlia sono morti nel bombardamento di una scuola che era diventata un rifugio nell’area centrale di Nuseirat, secondo quanto diffuso dalle autorità palestinesi e riferito dai media internazionali; l’esercito israeliano ha dichiarato che l’obiettivo del bombardamento erano «miliziani di Hamas che si nascondevano nella scuola». Lo stesso giorno una donna e i suoi quattro figli sono morti nel bombardamento della loro casa a Deir al Balah, in un attacco con un elicottero e con l’artiglieria delle forze armate israeliane che ha provocato molti feriti. Sono stati in realtà solo i più recenti raid nello stillicidio delle stragi quotidiane: domenica scorsa, secondo le autorità palestinesi, una scuola era stata bombardata nella città di Gaza provocando sette vittime e decine di feriti; nella giornata di sabato un’altra scuola era stata bombardata provocando 22 vittime, la maggior parte donne e bambini.

Tra le oltre 42mila vittime del conflitto circa due terzi sono donne e bambini secondo il quinto gender alert dell’agenzia dell’Onu per l’uguaglianza di genere (Un Women), che definisce la guerra a Gaza «una delle più brutali crisi umanitarie mai provocate dall’uomo». L’impatto sulla vita di 2 milioni e 200mila persone è stato devastante: tra i 95mila feriti, si legge nel rapporto pubblicato lo scorso giovedì 19 settembre, almeno 12.500 hanno subito interventi chirurgici e amputazioni. L’Unicef stima che almeno 1.000 bambini abbiano perso una o entrambe le gambe. In 11 mesi sono stati uccisi 491 operatori sanitari, 146 dei quali erano donne.

Nel rapporto dedicato alla salute delle palestinesi i funzionari Onu rimarcano come le devastazioni causate dai bombardamenti israeliani abbiano rapidamente provocato, nel collasso del sistema sanitario con l’84 per cento delle strutture danneggiato o distrutto, un aumento vertiginoso di morti che erano evitabili per malattie non curate, come quelle oncologiche che oggi colpiscono 5.200 donne, la crescita di ipertensione e diabete mellito (che colpiscono rispettivamente 30.841 e 107.443 pazienti a rischio di morire per assenza di cure), patologie cardiovascolari per 18mila donne, danni invalidanti alla salute mentale, con il 75 per cento delle intervistate che lamenta depressione, insonnia, incubi frequenti.

Anche nel precedente rapporto di giugno Voci di fortezza: il contributo delle organizzazioni guidate da donne alla risposta umanitaria nei Territori palestinesi occupati, stilato su un campione di 25 organizzazioni femminili attive in Palestina, gli operatori avevano ribadito come quella a Gaza rimanga, fra le altre cose, «una guerra contro le donne»: le ineguaglianze di genere pesano ancora di più nel momento in cui manca il cibo, l’acqua, l’occorrente per l’igiene personale, con le madri che inevitabilmente mangiano per ultime e meno degli altri per lasciare acqua e viveri ai figli.

Nei Territori palestinesi di Cisgiordania le frequenti incursioni e demolizioni di case continuano a creare rischi e vulnerabilità specifici di genere, visto che molte famiglie si trovano ad esser guidate da madri sole e le restrizioni ai movimenti impediscono alle donne in gravidanza o che stanno allattando l’accesso all’assistenza sanitaria. Gran parte dell’assistenza sanitaria viene assicurata da organizzazioni femminili anche in Cisgiordania e a Gerusalemme est, con 716 persone uccise, 5.750 ferite e «bisogni umanitari crescenti in un contesto nel quale le condizioni di vita erano già durissime prima del conflitto».

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