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Arabia Saudita: dal 2011 triplicato il tasso di occupazione femminile

Manuela Borraccino
4 settembre 2024
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Crescono tra i sauditi le aspettative per l’acquisizione di diritti civili e politici con la crescente presenza delle donne nel mondo del lavoro: nel 2023 il tasso di occupazione femminile ha sfondato quota 31 per cento.


Lo scorso maggio la 36enne ingegnera biomedica Rayyanah Barnawi è diventata la prima donna araba ad aver raggiunto, con un’azienda privata, la Stazione spaziale internazionale. La missione della prima astronauta saudita è solo l’esempio più emblematico della corsa all’occupazione femminile intrapresa negli ultimi 13 anni dall’Arabia saudita: centinaia di migliaia di donne sono diventate le prime nella loro famiglia a lavorare fuori casa, nelle stazioni ferroviarie, nei centri commerciali, in uffici e aziende. Nel 2011 il tasso di occupazione femminile era di appena il 10 per cento, uno dei più bassi del mondo e del Medio Oriente, a fronte del 56 per cento di quello maschile. Nel 2023 la percentuale delle saudite impiegate ha sfondato quota 31 per cento: una svolta inaspettata per gli stessi leader politici e che sta cambiando dal basso la società e l’economia del regno, dove resta ancora un miraggio il tramonto definitivo del sistema del guardiano (vale a dire del congiunto maschio che deve obbligatoriamente accompagnare o autorizzare una donna nei suoi spostamenti fuori casa, a tutela della sua reputazione – ndr).

Incentivi a lavorare nel privato, non solo nel pubblico

Che cosa è avvenuto in questi ultimi anni? Il governo di Riyadh ha incoraggiato per anni l’istruzione femminile, e molte studentesse hanno potuto conseguire lauree all’estero grazie al programma di borse di studio sponsorizzato da re Abdullah. Ma l’occupazione femminile è stata per decenni poco incentivata nei cosiddetti Rentier States, gli Stati che vivono delle rendite petrolifere con poche tasse e ampi sussidi sociali in cambio della sostanziale acquiescenza di fronte alle dittature. Nella monarchia assoluta saudita il lavoro delle donne era scoraggiato anche per le rigide norme culturali sulla separatezza fra uomini e donne soprattutto nei luoghi di lavoro. Poi ci sono state le rivolte del 2011. Il governo saudita ha dovuto prendere atto che la disoccupazione giovanile al 30 per cento, unita alla crescita demografica di quasi il 3 per cento all’anno, non poteva più essere affrontata solo offrendo posti di lavoro nel settore pubblico. «La conseguente campagna per spingere il settore privato a creare molti più posti di lavoro – commenta sull’ultimo numero di Foreign Affairs l’economista Jennifer Peck – ha avuto l’effetto inatteso di aumentare le opportunità lavorative non solo per gli uomini ma anche per le donne, che sono entrate in massa nel mercato del lavoro con una forza e rapidità inaspettate: le saudite vedono oggi per la prima volta la possibilità di esercitare un potere economico che non avevano mai avuto nella vita pubblica».

Per decenni i lavori estranei al settore petrolifero – nell’edilizia, nella ricettività turistica e nelle vendite al dettaglio – sono stati retribuiti meno e venivano generalmente coperti dalla manodopera immigrata: nel 2011 i cittadini sauditi rappresentavano in effetti meno del 15 per cento della forza lavoro nel privato e le donne erano una sparuta minoranza in questa già bassa percentuale; all’epoca l’86 per cento delle aziende private non aveva impiegate. In quell’anno il governo ha lanciato un piano per l’occupazione dei cittadini sauditi con incentivi ad assumere per le aziende private e assistenza per chi cercava lavoro: nel solo luglio 2011 più di 500mila donne hanno presentato domanda, anche per ricevere formazione online. Le aziende si sono così trovate ad assumere donne per la prima volta. Nel 2015 i due terzi delle aziende saudite avevano lavoratrici, e la quota di occupazione femminile nel privato era quasi triplicata, intorno al 27 per cento. Del resto secondo un censimento del 2023 la popolazione saudita è aumentata del 34,2 per cento dal 2010 ad oggi, passando da 24 a oltre 32 milioni di persone (18 milioni e 800mila sono cittadini sauditi, mentre 13 milioni e 400mila sono stranieri), dei quali il 63 per cento ha meno di 30 anni.

Forte spinta dal programma di riforme Vision 2030

Nel 2015, per la prima volta, le donne saudite hanno potuto votare e candidarsi alle municipali. Già tre anni prima, nel 2012, una legge ha fatto in modo che alcuni settori commerciali, come la vendita di biancheria intima e cosmetici, fossero riservati alle donne, altro fattore che ha fatto crescere il numero posti di lavoro disponibili. Il programma di riforme Vision 2030, lanciato nel 2016 dall’allora principe ereditario ed oggi primo ministro Mohammed Bin Salman per diversificare l’economia e ridurre la dipendenza dal petrolio, ha impresso un’ulteriore accelerazione a questo processo. Nel 2018 la fine del divieto di guidare per le donne ha esteso la loro mobilità e ha permesso loro di lavorare per piattaforme di sharing come Uber. Nel 2019 è stato definitivamente abrogato l’obbligo di avere il permesso del proprio guardiano per lavorare, e la stessa legge vieta ai datori di lavoro di chiedere il permesso del guardiano come condizione per l’assunzione.

Ma resta una lunga strada da percorrere

Secondo gli osservatori questa trasformazione economica ha visibilmente aumentato la partecipazione delle donne alla vita pubblica, ha reso le famiglie più resilienti dal punto di vista finanziario e ha rafforzato la produttività delle aziende con l’incremento del loro accesso ai talenti. Tuttavia i casi della 29enne Manahel al-Otaibi e di Salma al-Shehab, condannate rispettivamente a 11 e a 27 anni di carcere per le loro campagne sui social per i diritti delle donne, mostrano quanto sia ancora lunga la strada da percorrere per la piena affermazione dei diritti umani nel regno.

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